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di Giovanna Fusco

Wuhan è sicuramente una delle città più note degli ultimi tempi, focolaio del temutissimo Covid-19, il nuovo Coronavirus emerso in Cina e sviluppatosi in diversi paesi del mondo fino ad arrivare anche in Italia.

I primi allarmi si sono avuti il 31 dicembre 2019, momento in cui le autorità cinesi hanno informato l’Organizzazione Mondiale della Sanità che sul loro territorio c’erano casi simili alla polmonite ma dalle cause ignote.

La teoria più diffusa vede il nascere del virus da un pipistrello prima e da un serpente poi, ma non si ha alcuna certezza. È sicuro, invece, che, a partire dalla Cina, nazione che ad oggi conta 79968 casi confermati clinicamente e in laboratorio e 2873 morti, fino ad arrivare agli altri paesi del mondo (ben 53, che contano 6959 casi confermati e 103 morti), c’è anche l’Italia. Qualunque sia l’origine del contagio, è doveroso ricordare che notte e giorno medici, infermieri, biologi e tante altre figure professionali sono impegnati senza sosta e mettono a rischio la propria vita in una corsa contro il tempo per fronteggiare la più importante epidemia del terzo millennio, nel tentativo di scoprirne la cura e traghettarci oltre le rapide di questo fiume sempre più minaccioso.

Senza addentrarci nel campo dell’epidemiologia, che non è il nostro, ciò su cui possiamo, però, soffermarci è l’impatto negativo e preoccupante che sta avendo il virus sull’economia in generale e in particolare su alcuni settori, per noi vitali, come il turismo. Se prima era la Cina ad essere “emarginata”, ora compariamo anche noi italiani tra i popoli da evitare: siamo infatti il terzo paese al mondo per numero di contagi e, naturalmente, per questo diversi governi esteri stanno sconsigliando ai propri cittadini viaggi nel nostro territorio. Crollano radicalmente le prenotazioni turistiche per Pasqua e i viaggi già progettati; vengono annullate migliaia di preventivi, di eventi importanti come match sportivi e occasioni culturali. Per non parlare dei viaggi d’istruzione e delle visite guidate scolastiche che rappresentano un settore estremamente produttivo per alberghi, agenzie di servizi, musei.

Si registra un vero ko del settore, tanto che i dati CNA Turismo stimano una perdita del fatturato fino al 60% nella prima metà dell’anno. L’Italia, terra di monumenti storici, di buon cibo e di splendide regioni, con bellezze paesaggistiche, dalla montagna al mare, il clima mediterraneo, rischia pian piano di precipitare se non ci sarà al più presto un’inversione di tendenza.

Siamo ormai nell’occhio del ciclone e il danno d’immagine si ripercuote inevitabilmente sul settore turistico. Ad aggravare la situazione c’è anche il fatto che il virus sia arrivato in un periodo ricco di eventi, a partire dal Carnevale fino alle festività pasquali, ricorrenze che consentono agli esercizi collettivi italiani di ospitare normalmente decine di milioni di turisti italiani e stranieri. È una filiera che non si ferma al solo evento ma si espande a tutti i settori dell’economia perché coinvolge ambito agroalimentare, industria, distribuzione.

È tutto in negativo o è possibile, in questo scenario apocalittico, intravedere un debole spiraglio?

A parte la necessità che rientri l’emergenza e si riaprano le frontiere, consentendo di nuovo la circolazione sicura delle persone e dunque la ripresa dei viaggi, si potrebbe pensare a nuove opportunità lavorative per le tante aziende delle grandi metropoli come dei piccoli centri che rischiano la chiusura: stiamo parlando dello smart working, una nuova frontiera che rappresenta un’importante tutela per i lavoratori. Esso consiste in una modalità che annulla la necessità della presenza fissa in azienda e che abbatte i tradizionali limiti di spazio e di orario, consentendo al lavoratore di conciliare i tempi di vita con quelli di lavoro.

Giorgio Armani, ad esempio, ha deciso di chiudere per una settimana gli uffici di Milano e le sedi produttive che si trovano in Lombardia e nelle zone limitrofe, garantendo comunque al personale coinvolto la massima disponibilità da parte di dirigenti e responsabili di funzioni; Gucci ha informato i propri dipendenti, invitandoli a limitare le trasferte e a preferire modalità di comunicazione a distanza; Tim, Enel, Wind Tre hanno deciso di raccomandare a chi lavora nelle regioni colpite di lavorare da casa. A queste grandi aziende se ne aggiungono altre, di minori dimensioni che stanno sperimentando tali forme lontane dalla concezione classica di “lavoro” con i vantaggi che presentano: la flessibilità di orario, il tempo risparmiato, la notevole diminuzione di traffico. E allora perché non rifletterci seriamente e farne tesoro anche una volta che l’emergenza sarà passata?

Il timore e le preoccupazioni ci sono e riempiono il nostro oggi, è normale, ma possono essere occasione di analisi per il futuro. Usare le dovute accortezze e le norme igieniche è la priorità, ma è anche necessario capire che il freno più preoccupante è proprio la paura, quella che non ci permette di vivere serenamente, che ci rende aggressivi con l’altro ritenuto il potenziale “untore”, quella che, purtroppo, oltre a incidere sulla nostra salute, finirà per frenare economia, turismo e attività produttive in generale. E allora qual è la soluzione? Avercela! Intanto, però, cerchiamo di neutralizzare le condizioni che possano rivelarsi devastanti per il nostro domani nel quale, superata l’epidemia, dovremo continuare a sopravvivere e di lanciare, senza preclusioni, lo sguardo oltre il presente, verso il nuovo che si delinea all’orizzonte.