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Ci sono luoghi che ci hanno visti nascere e crescere, spazi che in qualche modo continuano a rappresentare la nostra idea di casa. E poi ci sono città che non abbiamo mai visitato, ma che pure sentiamo vicine, come se ci appartenessero da sempre. Sono nomi che tornano in mente con una naturalezza inspiegabile, che pronunciamo senza pensarci troppo, come se fossero intrecciati alla nostra storia personale. A volte, senza nemmeno rendercene conto, quelle città si trasformano in gesti, in abitudini, in piccoli rituali quotidiani che portano con sé un’eco lontana.

Milano diventa il simbolo del lavoro, dei treni presi in fretta, degli appuntamenti segnati in agenda, della moda e degli aperitivi. Napoli è cuore e passione, è tradizione e superstizione. Venezia è l’attesa e il silenzio dell’acqua che scorre lenta, mentre Palermo è luce e memoria, ma anche sangue e intensità. Torino porta con sé la nebbia e il rigore, Bari il vento e la pesca. Le città italiane, in fondo, sono veri e propri contenitori di immaginario: racchiudono ricordi, esperienze, proiezioni.

E non è necessario esserci nati o averci vissuto davvero. Anche quando non le abbiamo mai viste con i nostri occhi, le città continuano a esistere nei racconti che ascoltiamo, nei proverbi, nei sogni. Riemergono in modo inatteso dentro gesti che sembrano casuali, ma che spesso nascondono significati più profondi. Pensiamo, per esempio, a certi giochi o a programmi televisivi in cui le città diventano protagoniste indirette. “Affari Tuoi”, il celebre gioco dei pacchi, ha costruito intere stagioni su questa geografia affettiva: ogni concorrente rappresenta una regione, ogni scatola è legata a un territorio, e il pubblico segue non solo il gioco, ma anche il racconto di chi porta con sé un accento, un modo di dire, un frammento di vita.

Anche nei quiz televisivi le domande sulle città italiane non sono mai neutrali: evocano storie, rivalità, orgoglio, appartenenze. E poi ci sono i giochi di ogni giorno, quelli che si fanno in ricevitoria, al bar o online come il gioco del Lotto. Giochi in cui si sceglie una città magari d’impulso, ma mai del tutto per caso. Si punta su Napoli perché ricorda la nonna, su Roma perché è la città in cui si è studiato, su Genova semplicemente perché piace il suono del nome. Non è soltanto una questione di numeri o di combinazioni fortunate: è una geografia personale, un modo per dare forma a un’intuizione, a un frammento di memoria.

Ma non è il gioco in sé a essere protagonista: lo è piuttosto il pensiero che lo precede, la memoria che lo accompagna, la città che lo ispira. Anche nel Superenalotto, le scelte non sono mai del tutto casuali: i numeri corrispondono a date, a sogni, a ricordi. E le città, pur restando sullo sfondo, continuano a vivere come scenari possibili di un cambiamento.

Perché il gioco, in fondo, è anche questo: un modo per mantenere vive le connessioni, per dare forma a pensieri che altrimenti resterebbero sospesi. Quando si compila una schedina o si sceglie un pacco, non si stanno preferendo soltanto dei numeri o una ruota: si evocano luoghi, si attivano ricordi, si costruisce uno spazio mentale in cui l’alternativa sembra ancora possibile. E così, tra le righe di una ricevuta, tra le ruote di una città mai visitata, nei sogni di chi gioca o apre il pacco per vederne il contenuto, le città continuano a vivere. Non come semplici destinazioni, ma come scelte intime, silenziose, quotidiane.