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E’ passato poco più di un anno dall’individuazione del paziente zero in Italia. Da quel giorno la vita, così come l’avevamo conosciuta, ha subito una radicale trasformazione.

Ormai, nostro malgrado, abbiamo imparato a convivere con la parziale compressione di libertà minime. Ciò che ‘prima’ era nient’altro che un gesto semplice ed essenziale, oggi si tramuta in un attentato potenziale alla salute di se stessi e degli altri.

Il riequilibrio complessivo del nostro stare al mondo era comunque ancorato alla possibilità che la fase della cosiddetta ’emergenza’ fosse destinata a consumarsi in un arco temporale definito. In virtù di ciò anche la limitazione di principi essenziali alla tenuta della ‘democrazia occidentale’ è sembrata un ragionevole compromesso. La politica e le istituzioni hanno rilanciato questo messaggio come un mantra: dal “restiamo distanti oggi per abbracciarci più forte domani“, al “chiudere adesso per non chiudere tutto a Natale”, per finire con “continuiamo con i sacrifici fino all’arrivo del vaccino”, si è gradualmente procrastinata la possibilità di vedere la luce in fondo al tunnel. 

Solo che, a un anno dallo scoppio della pandemia, siamo ancora distanti senza poterci abbracciare. Abbiamo diligentemente trascorso il nostro Natale barricati in casa. Il vaccino è arrivato e nella nostra Regione siamo costretti a chiudere le scuole di ogni ordine e grado. Insomma, la fine di tutto ciò sembra davvero di là da venire. 

E allora dov’è il problema? Nella mancanza di controlli, come sostiene De Luca? Nei nostri giovani che si macchierebbero del terribile ‘reato di socialità’? Oppure nell’incapacità complessiva della nostra classe dirigente di saper fronteggiare questa sfida epocale? 

Francamente ognuna di queste considerazioni coglie solo una piccola, anzi minuscola parte di verità. L’empasse nella quale ci siamo cacciati, che non è solo di carattere sanitario o economico ma riveste un carattere generale, è figlia dell’incapacità – questa sì tutta attribuibile alla classe dirigente nel suo complesso – di proferire sin dall’inizio parole di chiarezza.

Brutalmente e in maniera per nulla paradossale, avrebbe giovato a tutti sentir dire che di fronte alla prima pandemia del mondo globale non sapevamo, non sappiamo e probabilmente non sapremo ancora fino in fondo cosa fare.

Poi sull’opportunità delle misure prese in questi mesi si può discutere all’infinito, si può ragionare ad oltranza sulla logica dell’apri/chiudi – apri/chiudi, si possono avere opinioni diverse sulla possibilità di ‘compensare’ salute ed economia. Ma la verità è che la decisione di oggi di De Luca sulle scuole, o le parole giustamente allarmate di Mastella sul rischio infezione per i giovani (solo per restare alla Campania), ci riportano in una sorta di loop temporale al punto di partenza. E in questo modo si ha davvero l’impressione che la politica abbia alzato bandiera bianca, incapace di delineare una prospettiva che non sia la mera ripetizione di quanto già detto o sentito, riparandosi dietro rimpalli di responsabilità che non ci fanno avanzare di un millimetro. 

Che si faccia ora, e subito, un discorso di verità. Forse con il virus del Covid – 19 e con le sue varianti bisognerà convivere; presumibilmente anche per molto tempo.

Ma se è così lo si dica chiaramente. Solo dopo, e non prima, si può aprire una discussione franca e produttiva sulle strategie da adottare. Ma bisogna farlo in fretta, perché è già trascorso un anno. Un anno che a tanti di noi è sembrato un secolo.