La vera rivoluzione non è solo tecnologica: l’adozione dell’AI implica un cambiamento nei processi, nei ruoli e nella cultura organizzativa degli studi
Nel dibattito sull’intelligenza artificiale applicata alla consulenza contabile, spesso si tende a porre l’attenzione sulle competenze individuali del commercialista. Ma un aspetto forse meno esplorato, eppure cruciale, è quello della trasformazione organizzativa che l’adozione dell’AI comporta all’interno degli studi professionali. A confermarlo è la ricerca “IA & Commercialisti: nuove frontiere della Professione”, condotta da TeamSystem in collaborazione con l’Unione Nazionale Giovani Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili.
Secondo i dati emersi, il 66% degli studi italiani ha già implementato soluzioni basate su intelligenza artificiale o prevede di farlo nel breve periodo. Un’adozione così diffusa implica, di fatto, un cambiamento radicale nella gestione del lavoro, nei flussi operativi e nell’organizzazione delle risorse umane.
L’AI, infatti, non è semplicemente uno “strumento in più”, ma un vero catalizzatore di rinnovamento gestionale. Automatizzando attività ripetitive come la classificazione delle fatture, la gestione documentale e il monitoraggio dei flussi, consente agli studi di rivedere tempi, priorità e ruoli. Il risultato? Più tempo per le attività consulenziali e una maggiore focalizzazione sul valore strategico offerto al cliente.
Questa riorganizzazione richiede, però, un cambiamento anche culturale. Secondo la ricerca, il 77% dei commercialisti ritiene che la padronanza degli strumenti di intelligenza artificiale sia ormai una competenza chiave per rimanere competitivi. Non si tratta solo di imparare a usare un software, ma di rivedere l’approccio al lavoro in termini di processi, deleghe e responsabilità.
Un dato particolarmente rilevante in questo contesto è il 59% degli studi che ha dichiarato di voler investire in formazione e aggiornamento continuo. Una scelta strategica che dimostra quanto la consapevolezza del cambiamento sia ormai radicata. Le competenze più richieste non riguardano solo l’AI, ma anche l’informatica di base (54%) e la gestione di tematiche legate a privacy e sicurezza (34%). È un ripensamento del know-how professionale che impone agli studi un vero salto di qualità.
Ma l’adozione dell’AI non è esente da difficoltà. Il 52% dei commercialisti che ancora non la utilizzano indica la mancanza di competenze come la principale barriera. Seguono i costi (43%) e i dubbi sull’affidabilità degli strumenti (41%). Questi dati evidenziano la necessità di un supporto strutturato per affrontare la transizione: non bastano le tecnologie, servono visione, formazione e accompagnamento nella gestione del cambiamento.
In pratica, l’introduzione dell’AI porta con sé un nuovo modello organizzativo. Il tempo liberato dall’automazione può essere ridistribuito su progetti strategici, sviluppo di nuovi servizi, crescita interna. Le figure professionali junior possono essere valorizzate in ruoli di coordinamento o analisi, mentre il titolare dello studio può dedicarsi maggiormente all’interazione con i clienti e alla costruzione di una proposta di valore distintiva.
La riorganizzazione, quindi, non è solo tecnologica, ma anche manageriale. La vera sfida per gli studi professionali non sarà solo imparare a usare l’AI, ma riorganizzarsi intorno ad essa, ridefinendo ruoli, responsabilità e processi in modo coerente con le nuove potenzialità.
Il messaggio che arriva dallo studio è chiaro: l’intelligenza artificiale non è il fine, ma lo strumento per costruire uno studio più moderno, agile e orientato al futuro. E chi saprà cogliere l’occasione non solo sarà più competitivo, ma anche più attrattivo per clienti e collaboratori.