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Roma – Con una produzione praticamente dimezzata è l’olio extravergine di oliva Made in Italy a subire gli effetti più pesanti del cambiamento climatico con una strage che lo scorso inverno ha compromesso 25 milioni di ulivi in zone particolarmente vocate e fatto crollare il raccolto che quest’anno si aggira attorno ai 200 milioni di chili, un valore vicino ai minimi storici per la pianta simbolo della dieta mediterranea. In Campania, stima Aprol, la produzione di olio nel 2018 è stata di circa 8 milioni di chili. Una situazione drammatica che emerge dallo studio “Salvaolio” della Coldiretti presentato in occasione della manifestazione degli agricoltori scesi in piazza a Roma per denunciare gli errori regionali e l’assenza nella manovra approvata delle misure necessarie a garantire adeguate risorse al Fondo di Solidarietà Nazionale per far fronte alle pesanti calamità che hanno colpito importanti aree del Paese, a partire dalla Puglia dove si realizza la maggioranza dell’olio italiano e si contano 90mila ettari di uliveti senza produzione, un taglio di circa 2/3 del raccolto e un equivalente di 1 milione di giornate lavorative perse.

Presente a Roma una rappresentanza dei produttori olivicoli associati ad Aprol Campania guidata dal presidente Francesco Acampora, e dei giovani della coldiretti con la delegata regionale Veronica Barbati.  

Per la prima volta nella storia – sottolinea la Coldiretti – la produzione spagnola stimata quest’anno in 1,6 miliardi di chili è superiore di oltre sei volte quella nazionale che potrebbe essere addirittura sorpassata da quella della Grecia e del Marocco. Senza interventi strutturali l’Italia – precisa la Coldiretti – rischia di perdere per sempre la possibilità di consumare extravergine nazionale con effetti disastrosi sull’economia, il lavoro, la salute e sul paesaggio.

Il settore italiano dell’olio secondo la Coldiretti:

  • fattura oltre 3 miliardi di euro
  • impegna 400.000 aziende
  • conta 1 milione di ettari di uliveti
  • detiene il primato in termini di olio extravergine a denominazione in europa (43 dop e 4 igp) e il più vasto patrimonio di biodiversità al mondo (250 milioni di piante e 533 varietà di olive)
  • tutela la salute dei cittadini consumatori con un prodotto che ha un valore salutistico riconosciuto dall’Organizzazione Mondiale della Sanita’
  • ha un valore simbolico e culturale straordinario
  • contribuisce alla bellezza e alla tenuta dei nostri territori.

La Campania possiede oltre 74 mila ettari coltivati ad oliveto, di cui il 5% circa con metodi di produzione biologica. Le principali varietà olivicole campane sono: l’Ogliarola, la Marinese e la Ravece in provincia di Avellino; l’Ortice, l’Ortolana e la Racioppella in provincia di Benevento; l’Asprinia, la Tonda, la Caiazzana e la Sessana in provincia di Caserta; l’Olivo da olio (detta anche Cecinella o Minucciolo) in penisola Sorrentina, Napoli; la Rotondella, la Carpellese, la Nostrale, la Salella, la Biancolilla e la Pisciottana in provincia di Salerno. A queste autoctone vanno aggiunte varietà come il Leccino e il Frantoio, che pur non essendo autoctone sono presenti da lungo tempo in varie zone della regione. L’olio nuovo esprime al meglio le proprietà organolettiche, antiossidanti e nutrizionali che tendono a deperire nel tempo. In Campania sono cinque le Dop: Cilento, Colline Salernitane, Irpinia – Colline dell’Ufita, Penisola Sorrentina e Terre Aurunche.

IL PIANO SALVAOLIO MADE IN ITALY DELLA COLDIRETTI

  1. Avviare un nuovo PIANO OLIVICOLO NAZIONALE (“Piano 2.0”) per rilanciare il settore con una strategia nazionale e investimenti adeguati, per modernizzare gli impianti olivicoli, puntando sulle cultivar nazionali che rappresentano il nostro patrimonio di biodiversità; favorendo lo sviluppo e la sottoscrizione di contratti di filiera.
  2. Garantire adeguate risorse al FONDO DI SOLIDARIETÀ NAZIONALE per far fronte alle pesanti calamità che hanno colpito importanti aree del Paese, come la Puglia, con il dimezzamento della produzione nazionale di olio di oliva che ha messo in ginocchio il settore.
  3. Esprimere solidarietà all’olivicoltura salentinacompromessa dalla XYLELLA, sostenendola con azioni concrete a partire – chiede la Coldiretti – dall’immediata attuazione del Decreto sullo stato di emergenza al fine di consentire i reimpianti, gli innesti e la programmazione delle attività dei frantoi e degli olivicoltori.
  4. Dare maggiore trasparenza all’attribuzione dei finanziamenti dell’attualeOCM, in modo che i fondi vadano alle vere imprese olivicole e difendere l’extravergine italiano nell’ambito dei NEGOZIATI INTERNAZIONALI dove l’agroalimentare italiano viene troppo spesso usato come moneta di scambio per interessi diversi.
  5. Stringere le maglie ancora larghe della legislazione con l’approvazione delle proposte di RIFORMA DEI REATI ALIMENTARI presentate dall’apposita Commissione presieduta da Giancarlo Caselli presidente del Comitato scientifico dell’Osservatorio Agromafie della Coldiretti.
  6. Pretendere l’obbligo dellaREGISTRAZIONE TELEMATICA degli oli commercializzati in tutti gli Stati membri, così come già istituito in Italia attraverso il SIAN. 
  7. Difendere ilPANEL TEST, strumento necessario – spiega la Coldiretti – per la classificazione e valutazione delle caratteristiche organolettiche degli oli di oliva vergini al fine di tutelare i produttori di oli di qualità ed i consumatori.
  8. Promuovere una maggiore trasparenza dell’INDICAZIONE OBBLIGATORIA DELL’ORIGINE IN ETICHETTA, per l’olio extravergine di oliva(con etichette leggibili per i consumatori e prevedendo l’obbligo dell’indicazione dei Paesi di provenienza degli oli che compongono le “miscele”) e per le olive da tavola (che ad ogginon hanno alcuna indicazione obbligatoria in etichetta relativamente al Paese di coltivazione delle olive).
  9. Promuovere la CONOSCENZA e la CULTURA DELL’OLIO EVO di qualità tra i consumatori al fine di aiutarli a scegliere con maggiore consapevolezza.
  10. Eliminare il SEGRETO DI STATO sui flussi di importazione, anche – sostiene la Coldiretti – per verificare gli arrivi di prodotti da Paesi che non rispettano norme analoghe a quelle italiane rispetto all’uso di prodotti chimici o alla tutela dei lavoratori.