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Un documento indirizzato ad Anteprima24.it per gettare uno sguardo su quanto sta accadendo all’interno dei tribunali nei giorni dell’emergenza coronavirus.

Così l’avvocato Alessandro Liverini ha voluto focalizzare la sua attenzione sulla sospensione dei termini processuali e il rinvio delle udienze civili, sottolineando quelli che sono – a suo giudizio – i limiti oggettivi con i quali si sta gestendo questa situazione. 

La sospensione indiscriminata dei termini processuali – sostiene Liverini – ed il rinvio alle calende greche di tutte le udienze civili non è la conseguenza ineluttabile della crisi sanitaria, ma il frutto amaro dell’inerzia politica. Anche l’eccezione della materie urgentissime (cause afferenti ai diritti fondamentali della persona) è in realtà un bluff. Lo dimostra la mia esperienza personale. Ho depositato il sette aprile un ricorso d’urgenza in materia di diritto a cure sanitarie non procrastinabili e mi è stata fissata l’udienza di trattazione al primo luglio. Dunque, in concreto, è proprio tutto bloccato.

Vediamo di capire cosa sta succedendo. Il governo, con un decreto legge del diciassette marzo, ha assegnato ai capi degli uffici giudiziari il potere di adottare misure organizzative (per il periodo sedici aprile – trenta giugno) volte a contemperare le necessità sanitarie con l’interesse – di rango costituzionale – alla ordinaria prosecuzione delle funzioni giudiziarie. Inspiegabilmente, con un nuovo decreto legge emanato lo scorso otto aprile, il governo ha procrastinato il giorno di inizio della così detta fase due della giustizia civile al dodici maggio.

Non solo. Tra le possibili misure organizzative elencate dal governo in via di urgenza ve ne sono alcune smart, come l’udienza in videoconferenza e l’udienza cartolare (cioè la celebrazione di udienza medianto lo scambio di note tra avvocati via pec, prima del deposito telematico delle stesse) e ve ne sono altre vecchio stile (il rinvio delle udienze a data successiva al trenta giugno).

Dunque – continua Liverini – l’aver procrastinato l’entrata a regime della fase due dal sedici aprile al dodici maggio, senza che ve ne fosse motivo, e l’aver introdotto misure tra di loro contraddittorie ha assegnato ai presidenti di tribunale un potere eccessivo. Tanto è vero che alcuni presidenti di tribunale – nelle zone dove il tessuto produttivo e gli avvocati scalpitano per ripartire – hanno già adottato tali misure organizzative ed erano già pronti a ripartire oggi, sedici aprile. Altri presidenti di tribunale – in zone dove il tessuto produttivo è sfilacciato e dove il pubblico impiego la fa da padrone – hanno preferito optare per l’old style. Faccio due esempi attingendo alla mia esperienza personale: Benevento e Piacenza. Ovviamente il lettore sarà in grado di capire quale città appartiene alla prima categoria e quale alla seconda categoria socio-economica.

Se questo è il contesto, e se è vero che la capacità di ripartire si misurerà sull’efficienza e sulla celerità dell’azione dei pubblici poteri, anche dunque di quello giudiziario, noi avvocati abbiamo l’obbligo morale di dire con forza: che il dodici maggio è troppo tardi e che la fase due (udienze in videoconferenza e udienze cartolari) deve partire immediatamente, e comunque non oltre il quattro maggio e che i rinvii delle udienze fissate da oggi a quando entrerà in vigore la così detta fase due dovranno essere fatti alla prima udienza utile successiva al dodici maggio. E più in generale, da giuristi, abbiamo l’obbligo morale di chiedere che il parlamento torni a rivendicare ed esercitare le proprie funzioni costituzionali. Di controllo, di critica, di proposta. Di limite al potere governativo.

Il bonus di seicento euro concesso dalla cassa forense – conclude – e quello di mille euro annunciato da alcune regioni italiane come ad esempio la Campania, sono dei palliativi. L’unica cura possibile è tornare a lavorare e a vivere, per liberarci da questa cappa di paura che da eccezionale e transitoria si sta normalizzando nelle nostre anime”.