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Quante preparazioni portano il nome di baccalà. Ma siamo sicuri che il pesce impiegato sia proprio lui, il baccalà? Questa è la storia del merluzzo, un pesce che viene da lontano, dai mari del Circolo Polare Artico e che da lì ha viaggiato in tutto il mondo, non solo con le sue pinne, ma anche con le imbarcazioni di marinai ed esploratori. Creando pietanze culinarie che sono vere e proprie opere d’arte, che si gustano nelle cucine (non solo italiane) dalla notte dei tempi.

Dai vichinghi ai giorni nostri

Lo stoccafisso è un pesce che viene pescato al largo delle Isole Lofoten, nei mari della Norvegia e viene messo ad essiccare fuori dalle case, preda dei venti freddi del Nord, che lo rendono simile a un bastone: da qui l’origine della parola “stockfish” che significa appunto “bastone di pesce”. L’essiccazione viene praticata fin dai tempi di Carlo Magno ed è un procedimento che lo rende conservabile a lungo, per anni addirittura, adattandolo ai lunghi viaggi e al commercio. Lo stoccafisso norvegese è arrivato in Italia già con i primi vichinghi, che lo usavano come fonte di sostentamento durante i loro epici viaggi.  Si narra che perfino l’esploratore Leif Eiriksson ne avesse delle scorte con sé durante la sua lunga traversata verso l’America, quando sbarcò per primo in quell’isola che conosciamo come Terranova, in Canada.

Ma la vera svolta arriva nel 1431, quando il mercante veneziano Pietro Querini fa naufragio a Røst nelle Isole Lofoten e si imbatte proprio in lui: lo stoccafisso. Da qui nasce una fitta rete di commerci che vede il nostro merluzzo protagonista di scambi commerciali in tutta Italia, grazie anche al costo più basso rispetto a quello del pesce fresco. Lo stoccafisso norvegese arriva in Veneto dove nasce la ricetta del “Baccalà alla vicentina” e a Livorno, che vede un fiorente commercio con il Nord Europa nel Settecento (e da qui la ricetta del “Baccalà alla livornese”). Si diffonde in tutta Italia, compreso al Sud dove è cucinato in molti modi (è ottimo anche fritto). Ma chiariamo un equivoco: perché nessuno lo chiama stoccafisso (e tutti lo conoscono come baccalà)?

 

Stoccafisso (non baccalà)

Le due parole vengono usate come sinonimi ma l’italiano preferisce il suono del termine baccalà. Entrambe vedono uso del merluzzo, ma secondo preparazioni diverse.

Il baccalà si caratterizza per la messa sotto sale del merluzzo che dura circa tre mesi (lo stoccafisso ha come conservante la sola forza della natura).  Altra differenza: il baccalà può essere prodotto tutto l’anno, lo stoccafisso, grazie al suo legame con il clima, no: viene essiccato tra febbraio e giugno dopo essere stato raccolto tre mesi prima, mantenendo intatte le condizioni originarie del pesce. Inoltre, il commercio del baccalà è successivo a quello dello stoccafisso e quindi, quando si parla di baccalà nella preparazione piacentina e in quella livornese, in realtà si intende lo stoccafisso.

Il baccalà è più salato rispetto allo stoccafisso, con cui condivide la medesima procedura di ammollo; l’elemento sale non è di poco conto perché se cucinandolo si sbaglia a dosarlo (o a fare la dissalazione) può risultare facilmente immangiabile.

Viva, viva dunque lo stoccafisso! Il merluzzo dei mari del Nord che ha fatto un po’ della storia della cucina italiana.