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Nel caso della Regione Campania, il divieto del terzo mandato consecutivo è divenuto operativo “con l’entrata in vigore della legge della Regione Campania numero 4 del 2009, ossia con la legge elettorale”. A scriverlo è la Corte Costituzionale, in una nota, sulle motivazioni della sentenza N.64. La pronuncia, depositata oggi, lo scorso 9 aprile ha sancito l’illegittimità della legge campana sul terzo mandato. Una legge approvata lo scorso novembre in consiglio regionale, quindi impugnata da Palazzo Chigi. La decisione dei giudici ha di fatto sbarrato la strada alla ricandidatura del governatore Vincenzo De Luca.

La Consulta cita la legge elettorale del 2009, votata ai tempi di Bassolino. “Non solo non reca alcuna disposizione” per derogare “illegittimamente” al divieto di terzo mandato, ma “contiene un rinvio” (articolo 1, comma 3) alle altre disposizioni statali o regionali, anche di natura regolamentare, vigenti in materia. La norma successiva, voluta da De Luca, ha invece introdotto “dopo diversi anni una specifica deroga al divieto”. Lo ha fatto “escludendo, nella sostanza, la computabilità dei mandati pregressi rispetto a quello in corso”. Cioè ripartendo da zero, nel conto dei mandati. Così, avrebbe consentito “al Presidente della Giunta regionale uscente che ha già svolto due mandati consecutivi di essere rieletto alle prossime elezioni regionali“. La legge cancelllata si poneva, dunque, “in contrasto” con un “principio fondamentale”. Esso costituisce “l’espressione di una scelta discrezionale del legislatore”, volta a “bilanciare contrapposti principi e a fungere da «temperamento di sistema» rispetto all’elezione diretta del presidente, cui “fa da «ponderato contraltare»”.

A questa conclusione si giunge tenendo conto dell’articolo 122, primo comma, della Costituzione. Quello che cioè fissa i paletti per il sistema d’elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità degli organi elettivi delle Regioni. Meccanismi disciplinati sì con legge regionale, ma nei limiti dei princìpi fondamentali stabiliti da norme statali. La Consulta respinge anche l’appunto mosso in udienza dalla Regione Campania, per bocca dei legali di Santa Lucia. “Nessun rilievo – afferma – può essere attribuito alla circostanza che analoghe leggi regionali volte a impedire l’operatività del principio del terzo mandato consecutivo non sono state impugnate dal Presidente del Consiglio dei ministri”. Il richiamo è a simili normative di Veneto, Marche e del Piemonte, sulle quali non pendono finora ricorsi. “La loro eventuale illegittimità costituzionale – aggiunge la Corte – ben può essere fatta valere, nei modi previsti dall’ordinamento, in via incidentale“. Ossia durante un qualsiasi giudizio in tribunale, chiedendo il rinvio della norma alla Consulta.

E ora esulta chi, fin dall’inizio, sosteneva tesi confermate dalla Corte. L’ex consigliere regionale Tonino Scala, oggi segretario campano di Sinistra Italiana, nel 2009 era nella commissione Affari Istituzionali. Quelle dei giudici “sembrano le parole che – sottolinea – abbiamo citato nei comunicati stampa che in quei giorni trovavano di mettere ordine e accedere al consiglio regionale un atto di buon senso“. Secondo Scala, “chi ha formulato quella norma grottesca che introduceva terzo e addirittura quarto mandato non l’ha fatto per rispetto delle istituzioni, ma per garantirsi la permanenza al vertice“. Il segretario di SI Campania ritiene si sia “perso tempo prezioso, che doveva e dovrebbe essere impiegato per affrontare i disastri veri: nella sanità, nei trasporti, nell’urbanistica”. E 16 anni fa in consiglio sedeva anche Salvatore Ronghi, esponente del centrodestra, adesso presidente dell’associazione Sud Protagonista. Si dichiara “molto soddisfatto che le motivazioni della Corte Costituzionale abbiano” ricalcato quanto da lui denunciato a suo tempo. “Nel 2009 – ribadisce Ronghi -, con la legge elettorale approvata da noi consiglieri regionali di allora, il Consiglio aveva pienamente recepito il limite dei due mandati, un importante principio di democrazia”. E c’è chi fa parte dell’odierno consiglio, ma si è opposto alla legge poi dichiarata incostituzionale. La consigliera indipendente Maria Muscarà ricorda come, nella discussione in aula, avesse parlato di “recepimento bis” e “bufala giuridica”.