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Salerno – “Alle 4 del mattino venne vicino al letto, mi bussò sulla spalla e mi disse ‘Guarda che ti dò’ e poi mi verso tutta la bottiglia di acido solforico addosso”. Comincia così la lunga intervista rilasciata da Filomena Lamberti, sfregiata con l’acido da suo marito, al programma “Le Iene”:Non è facile guardarti allo specchio e non ritrovarti più quella che eri prima. Due erano le scelte, o andare avanti o aprire il balcone e farla finita e io accettato di andare avanti  e di riprendere in mano la mia vita e la mia libertà ”.

Il coraggio e la forza di una donna che ha saputo reagire ad uno atto scellerato e criminale perpetrato alla sua persona riprendendo in mano la sua vita.  

Io sto bene perché oggi vivo con la mia identità violata mentre per 32 anni ho sopravvissuto”.

Filomena racconta la sua storia d’amore col suo futuro aguzzino: “Avevo 16 anni e subito me ne innamorai. Non riuscivo a stare senza di lui. Dopo un anno di fidanzamento quando mi lasciò io tentai anche al suicidio con delle pasticche. Mia madre era contraria al fidanzamento”.

Poi – racconta a cuore aperto Filomena – il leone è uscito dalla gabbia. Beveva superalcolici e io volevo fare la crocerossina ma non ci sono riuscita. L’alcol lo rese anche violento nei suoi confronti. Mi picchiava per futili motivi. Quello che mi faceva star male è che lo faceva davanti ai miei figli. Il mio grande errore è stato quello di non aver denunciato ma al Sud in quegli anni non era semplice”.

Solitudine e paura ma i suoi figli restano un orgoglio e poi il supporto di una cugina: “Ho tre maschi e fortunatamente non sono come il padre. Non vedevo una mia cugina toscana da molti anni e mi mesi in contatto con lei su Facebook ma il PC fu galeotto. Lui non accettava nulla, nemmeno che mettessi il trucco o i pantaloni. Al mio rifiuto di soffocare la mia femminilità e di acconsentire alle sue ossessioni.  Fin quando dissi che mi volevo separare nel dicembre del 2011 e sembrò all’inizio accomodante”.

Il marito medita la vendetta di quei rifiuti e di quella decisione presa consapevolmente, finalmente lasciarlo: “Quella notte capì subito cosa mi aveva fatto. Io quell’acido lo usavo per sturare i tubi in pescheria. Mi alzai dal letto e i capelli si appiccicavano sulle spalle, i miei figli mi soccorsero ma lui aveva nascosto le chiavi della macchina. Il dolore è arrivato tardi, al pronto soccorso. Ci sono volute 10 interventi per ricostruire le mie palpebre, innesti di pelle dolorosissimi”.

Poi, alla fine del trattamento, il momento di rivedersi allo specchio: “Andai in bagno e mi specchiai. Lo shock fu tremendo. Guardavo la finestra e pensavo di farla finita ma se sono rimasta in vita e riesco a vedere vuol dire che qualcosa ho ancora da fare. In tutto ho fatto 30 interventi”.

Il suo aguzzino per quello sfregio per quell’atto terribile, ha subito una condanna per lesioni personali. Solo sedici mesi di carcere e nessun risarcimento ed essendo nullatenente non paga nemmeno gli alimenti alla donna: “Lo rifarei, non sono pentito”.

Le parole di quest’uomo confermano quanto ci sia ancora da lavorare nella cultura e nella legislazione italiana per punire reati come questi. L’omicidio d’identità sarebbe solo il primo passo.

Clicca QUI per vedere la video intervista realizzata dalle IENE