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Salerno – Il Comitato Spontaneo “Uniti per Chicca” attraverso una nota, comunica le motivazioni della sentenza di condanna per Antonio Fuoco, responsabile dell’uccisione della cagnolina Chicca.

“Lo scorso 8 aprile – scrive il Comitato-  Antonio Fuoco, il responsabile della barbara uccisione della cagnolina Chicca, avvenuta a febbraio di due anni fa, è stato condannato in primo grado a ventuno mesi di reclusione per maltrattamento ed uccisione di animali. Nella giornata di ieri sono state depositate le motivazioni della sentenza numero 1299 del 2019, oggi rese note dall’avvocato Annabella Messina, che in aula ha rappresentato sette delle dodici associazioni che si sono costituite parte civile nel processo. Sebbene il legale di Fuoco abbia preannunciato che farà appello, si tratta in ogni caso di un verdetto esemplare, con pochi precedenti in materia. Infatti, malgrado la riduzione che gli spettava per aver scelto il rito abbreviato, la pena è stata comunque considerevolmente aumentata per recidiva reiterata ed anche in considerazione della personalità del soggetto. Significativa, inoltre, anche l’entità del risarcimento danni che il giudice ha attribuito in favore di ciascuna parte civile, riconoscendo, in questo modo, valore alla tutela degli animali che perseguono le associazioni. Una sentenza che ribadisce la necessità di denunciare sempre tutti gli episodi di violenza nei confronti degli animali. Nel riportare le motivazioni, il Comitato Uniti per Chicca ringrazia i giovani che hanno avuto il coraggio di denunciare, perché, per quanto nella legislazione italiana le condanne non siano sempre adeguate, certe azioni non devono restare impunite.
Senza di loro non avremmo avuto né un colpevole né una condanna. E si ringrazia il giudice, dottore Paolo Valiante, che ha dimostrato notevole sensibilità, circostanza che dovrebbe connotare tutti i procedimenti di questo tipo, affinché, malgrado l’esiguità delle pene che in generale prevede il nostro ordinamento e che devono essere sicuramente inasprite, questo sia un segnale molto forte che possa fungere da importante deterrente”.

Si legge nelle motivazioni della sentenza:

“Non solo l’imputato ha senza dubbio cagionato, per le ragioni fin qui esposte, la morte di Chicca, ma lo ha fatto con modalità tali da urtare la sensibilità umana verso gli animali, ciò che costituisce in ultima analisi l’oggetto della tutela della fattispecie in questione.

Benché il legislatore abbia inserito in modo disgiuntivo nella norma i due requisiti ulteriori (rispetto alla morte dell’animale) che definiscono lilliceità della condotta tipica – ovvero che il fatto sia commesso con crudeltà e senza necessità” – e debba dunque ritenersi che basti per la configurabilità del reato la sussistenza di uno solo di essi, ciò nondimeno nel caso di specie luccisione del cane è avvenuta nel concorso di entrambi i detti requisiti”.

Non solo Chicca non teneva alcun contegno offensivo o pericoloso nei confronti dell’imputato o di terzi, ma era anzi il bersaglio inerme della violenza di Fuoco, il quale, nel racconto dei testimoni, la scalciò ripetutamente in modo del tutto immotivato e seguitò a farlo nonostante l’animale gli si fosse riavvicinato docilmente in un momento in cui la sua aggressione sembrava essersi interrotta.

Questo consente di affermare, al tempo stesso, che l’uccisione del cane fu eseguita dall’imputato anche con crudeltà.

Le modalità della sua azione, infatti, furono particolarmente brutali e malvagie, in quanto Chicca fu più volte sbalzata in aria per effetto dei suoi calci, con forze ed intensità tali da causargli nel contempo anche una minzione incontrollata (non è dato sapersi se più per lo spavento o come conseguenza dei traumi causati dalle forte pedate). E l’azione dell’imputato fu spietata al punto tale da non fermarsi nemmeno dinanzi all’immagine, obiettivamente penosa, del cane che gli si accostava in modo remissivo, come se non potesse ricorrere ad altri che non fosse il suo padrone per ritrovare la protezione fino a quel momento negatagli.

“La sua condotta, come si è detto, si è connotata per particolare riprovevolezza, quale evidente espressione, in concreto, di una indole violenta e malvagia, che, dopo essersi negli anni diretta prevalentemente contro il genere umano (l’imputato annovera condanne per omicidio, violenza carnale, lesioni personali, resistenza a pubblico ufficiale, traffico di sostanze stupefacenti, etc.), adesso ha trovato modo di manifestarsi anche nei confronti degli animali: segno, questo, di una nient’affatto occasionale devianza, che può trovare pretesti pressoché innumerevoli di ripetersi nella vita quotidiana e che quindi deve essere stigmatizzata con un inasprimento sanzionatorio”.