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Salerno – La Sicilia è una fonte inesauribile di storie che a volte assumono la forma peculiare dei “cunti”, racconti orali che intrecciano mito, storia e leggende, fantasia sconfinata e archetipi, riti magici e arte. Andrea Camilleri ne era custode e cantore sapiente, come sanno i milioni di lettori che l’hanno amato. Lo dimostra un suo poetico romanzo edito da Sellerio nel 2007, Maruzza Musumeci, che lui stesso introdusse così: «Mi sono voluto raccontare una favola, la storia del viddrano (originario di Vigata, ndr) che si maritò con una sirena». La donna pesce, per l’appunto, un cunto di Mare e Ferro, prodotto da Casa del Contemporaneo.

Il pubblico salernitano ha la possibilità, venerdì 24 e sabato 25 gennaio, al Teatro Ghirelli, di tuffarsi in questa storia dolcemente perturbante di terra e di mari, di ulivi millenari e antiche sirene, di fichi d’india e muratori, immergendosi nel gioco di emozioni ed evocazioni sprigionato da una lingua fortemente identitaria – densa di echi omerici e pirandelliani, –  interpretata a teatro, con maestria e ironia, da Rosario Sparno e Antonella Romano: due narrat(t)ori intenti a lavorare, in scena, una enorme scultura di coda di sirena in rete di ferro, “ricamata” in piccolo dalle agili mani di Antonella, e lucidata con l’acqua marina da Rosario.

‘Gnazio Manisca è un uomo solido, legato alla terra e ai valori concreti della campagna che ha coltivato sin da ragazzino. Giunto all’età di 47 anni, crede sia arrivato il momento di maritarsi. Si rivolge così alla gnà Pina, una sorta di maga e sensale di matrimoni che gli trova una giovane bellissima e misteriosa, Maruzza Musumeci. Incantevole, con una bocca rossa, una vita sottilissima e una voce ipnotica. ‘Gnazio resta folgorato dalla sua bellezza, ma la ragazza ha una particolarità: è convinta di “non essere fatta come una donna”, ma come un pesce.

Una sirena, precisamente.

Maruzza è nata nell’acqua, ha bisogno dell’acqua per essere felice. Vive con la bisnonna Menica e insieme a lei canta soavi canzoni che incantano gli uomini che ascoltano la sua voce. Grazie alla magia del teatro di narrazione, l’immaginaria contrada Ninfa – lingua di terra e di ulivi adagiata sul mare e dal mare circondata – prende così corpo diventando scenario di una sequela incessante di eventi e personaggi, di volta in volta metamorficamente incarnati, con naturalezza estrema, dai due attori, adeguatamente vestiti dalla costumista Alessandra Gaudioso. Il risultato è una visione del mondo che, lasciando spazio al fiabesco e al poetico, rivela tanto della realtà, perché, come si legge nel testo, bisogna «chiudere gli occhi “pi vidiri le cose fatate”, quelle che normalmente, con gli occhi aperti, non è possibile vedere».