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Farindola (Pe) – “La Magistratura faccia il proprio dovere affinché tragedie come quella di Rigopiano non avvengano mai più”. Affida il suo appello ai magistrati attraverso il microfono di Anteprima24, Alessio Feniello, papà di Stefano, il 28enne originario di Valva, deceduto insieme ad altre 28 persone, sotto le macerie dell’hotel Rigopiano travolto da una slavina il 18 gennaio del 2017.
Slavina che provocò il crollo dell’hotel abruzzese dove restarono sepolte per giorni 40 persone tra clienti e dipendenti del resort, di cui 29 morti e 11 sopravvissuti.
Tra i morti, il salernitano Stefano Feniello che era giunto al resort, il giorno prima della slavina, insieme alla fidanzata, Francesca Bronzi (quest’ultima sopravvissuta), per festeggiare il loro quinto anniversario di fidanzamento e il 28esimo compleanno del giovane salernitano.
La mattina del 18 gennaio, i due fidanzatini e gli altri ospiti avevano preparato le valige e le auto per rientrare a casa, ma un muro di neve e il mancato invio di una turbina spazzaneve per sgomberare la strada provinciale che dall’hotel portava al centro della cittadina, intrappolò clienti e dipendenti che furono costretti a restare nel resort dove avrebbero dovuto passare un’altra notte prima dello sgombero della strada da parte di una turbina della provincia.
Una situazione che allarmò tutti a Rigopiano tanto che furono decine le richieste di aiuto e le telefonate fatte ai parenti, al 118, alla Prefettura e al centro operativo per le emergenze da alcuni clienti e dipendenti dell’hotel per chiedere una turbina per liberare la strada. Richieste ignorate e che solo qualche mese fa, si è scoperto essere state occultate.
Intorno alle ore 17 del 18 gennaio però, mentre l’Abruzzo era sotto il terrore continuo del terremoto e metri di neve che avevano bloccato città e strade, una valanga di 120mila tonnellate di neve, si staccò dal Gran Sasso e in pochi minuti, raggiungendo la velocità di 100km/h, travolse e fece crollare l’hotel Rigopiano con all’interno 40 persone.
Saranno il cuoco e il manutentore dell’hotel che in quel momento si trovavano vicino alle loro auto all’aperto, entrambi sopravvissuti alla tragedia e rimasti illesi, a lanciare immediatamente l’allarme via WhatsApp al 118 e a un imprenditore della zona per chiedere l’invio dei soccorsi e a raccontare quanto accaduto ma anche dopo la slavina, nessuno tra i funzionari e il 118 crederà a quelle telefonate di aiuto, salvo poi attivare la macchina dei soccorsi in tarda serata che raggiunse il resort il 19 gennaio.
Delle 40 persone solo in 11 ne uscirono vivi e tra questi, secondo quanto riferito erroneamente per alcuni giorni alla famiglia Feniello dai funzionari della Prefettura, doveva esserci anche il 28enne di Valva che a loro dire, sarebbe stato vivo ed alimentato tramite sonda sotto le macerie.
La notizia errata però, non fu mai smentita alla famiglia che scoprì il corpo senza vita di Stefano solo alcuni giorni dopo, quando il giovane dopo essere tirato fuori dalle macerie privo di vita dai soccorritori, venne trasportato presso la sala mortuaria dell’obitorio ospedaliero di Pescara dove venne effettuato il riconoscimento della salma da parte dei familiari.
Errore finito al centro di un’inchiesta e che secondo i giudici di Pescara, sarebbe stato commesso “in buona fede” dai funzionari della Prefettura che avevano inserito il nome di Stefano nell’elenco dei vivi, illudendo la famiglia di poter riabbracciare il proprio caro che però, secondo quanto emerso dall’esame autoptico, era deceduto sul colpo sotto la slavina.
Presenterò ricorso – tuona arrabbiato Feniello. – Vedremo se l’errore è stato commesso in buona fede”.
Una tragedia che poteva essere evitata se la macchina dei soccorsi fosse stata attivata al mattino, cioè circa 6 ore prima della valanga, quando uno dei dipendenti dell’hotel, deceduto poi sotto la neve, chiese aiuto alla Prefettura e al Comune, richiedendo l’intervento di una turbina spazzaneve per sgomberare la strada.
Chiamate quelle della vittima che non furono ascoltate e secondo quanto emerso dopo circa due anni dall’inchiesta della Procura, furono addirittura occultate.
Depistaggi e incongruenze per le quali la Procura della Repubblica di Pescara ha aperto due filoni d’inchiesta per omicidio plurimo colposo, altri reati e depistaggi, che hanno dato il via a due processi: “Rigopiano” che nei giorni scorsi ha visto l’archiviazione di 22 posizioni di persone indagate per vari reati, tra cui l’omicidio plurimo colposo, e il filone “Rigopiano bis”, quest’ultimo relativo ai depistaggi dove sono coinvolti uomini delle Istituzioni, forze dell’ordine tra cui carabinieri Forestali, politici, imprenditori e funzionari pubblici.
Ho affidato in questi anni la morte di mio figlio alle Forze dell’ordine che hanno condotto le indagini e che ora risultato indagati – racconta Feniello, riferendosi ai militari – mi fa male sapere che coloro che mi avevano giurato che non avrebbe fatto sconti a nessuno per trovare la verità su ciò che è accaduto a Rigopiano, oggi siano tra gli indagati. Voglio vederci chiaro – dichiara il padre di Stefano che nei mesi scorsi ha presentato due ricorsi a ben due Procure per chiedere ulteriori indagini – non mi fermo, andrò avanti e presenterò altri esposti alla Procura fino a quando non avrò giustizia”.
E mentre gli indagati continuano a svolgere il proprio lavoro, in attesa di una sentenza definitiva, l’unico destinatario di un decreto di giudizio immediato, è proprio Alessio, il papà di Stefano Feniello, condannato al pagamento di una multa di 1550 euro per aver violato i sigilli dell’area sottoposta a sequestro nel luglio del 2017, quando giunto a Rigopiano con la moglie, depose un mazzo di fiori nel luogo dove è deceduto il figlio. Condanna alla quale Feniello ha presentato opposizione e per la quale è in corso un processo che lo vede imputato.
In corso anche gli atri due processi per la tragedia di Rigopiano che tra qualche settimana vedranno i giudici del tribunale di Pescara decidere se unificare i procedimenti in un unico processo, mentre i genitori di Stefano, Alessio e Maria e il fratello del 28enne, Andrea, continuano a chiedere giustizia.