Si chiama Giggino, è un cittadino campano e soffre di un disturbo psichico. La sua storia è diventata virale perché, come scrive l’associazione beneventana La Rete Sociale, “in Campania esistono ancora i manicomi”.
Giggino viveva “in una civile abitazione. Un gruppo di convivenza al centro del paese gli permetteva di frequentare il bar e la parrocchia, di fare la spesa e di accedere a tutti i servizi essenziali che lo facilitavano nel suo percorso di inclusione sociale”.
Un modello che funzionava, “con benefici evidenti sul piano sanitario: riduzione dei farmaci e azzeramento dei ricoveri tramite TSO”. “Questo modello – spiegano – è l’ABC di un servizio che risponde ai bisogni delle persone fragili secondo l’OMS e secondo le normative dello Stato Italiano. Ma non in Campania.”
Il dramma inizia quando Giggino viene “brutalmente strappato dalla realtà di affetti e relazioni umane costruite con amore e fatica per anni, e portato in una struttura chiusa e sperduta in campagna nell’alto casertano, come un pacco, ignorando i suoi diritti e desideri. Come è potuto accadere? Che colpa ha commesso Giggino per essere rinchiuso? Nessuna”.
La colpa, denuncia l’associazione, “sta nella legge che in Campania ha imposto un limite di pochi anni ai PTRI o Piani Terapeutici Individualizzati come quello di cui ha usufruito Giggino”.
Cioè “un limite di permanenza in strutture sociosanitarie o di supporto domiciliare che aiutano al reinserimento sociale, mentre consentono una permanenza illimitata in strutture accreditate psichiatriche più restrittive, in tutto e per tutto simili a manicomi: quelle, cioè, perfino con sbarre alle finestre, dove i pazienti vivono rinchiusi anche per 20 anni come carcerati colpevoli di reato”.
Il risultato, secondo La Rete Sociale, è che “i pazienti senza casa o famiglia subiscono un percorso istituzionalizzante in strutture chiuse dopo avere assaporato il piacere della libertà in quelle aperte. Una soluzione cinica, paradossale, che fa fare al paziente ‘recuperato alla normalità’ un cammino inverso, regressivo, non terapeutico”.
E per ricordare l’eredità di Franco Basaglia, l’associazione cita una sua celebre frase: “Il manicomio non serve a curare la malattia mentale, ma solo a distruggere il paziente”.
La Rete Sociale sottolinea inoltre che “questo andazzo in Campania raddoppia la spesa sanitaria per servizi inappropriati creando un danno erariale senza precedenti”, e annuncia “noi della Rete Sociale, i sindacati, altre cooperative o associazioni – tra le quali la Nuova Cucina Organizzata che ha divulgato la storia di Giggino – sporgeremo denuncia alla Corte dei Conti perché non ci stiamo più ad assistere inerti alle centinaia di storie come quella di Giggino”.
“Non ci stiamo più – scrive la presidente de La Rete Sociale, Serena Romano – perché non è la ‘legge 180’ che non funziona, ma una classe dirigente con una cultura manicomiale che se ne frega dei diritti e della dignità delle persone, duplica nuovi manicomi sotto falso nome e – con lo smantellamento dei servizi di prossimità territoriale – lascia sole le famiglie e gli utenti scaricando su di loro il peso delle malattie.”
Ma un barlume di speranza resta: “Eppure – si legge nella nota – non tutta la politica sembra fregarsene.” Il 20 marzo 2025, infatti, “il Consiglio regionale campano ha approvato all’unanimità proprio la mozione che elimina il vincolo temporale dei Progetti Terapeutici Riabilitativi Individualizzati (PTRI): ciononostante, la giunta ad oggi non l’ha ancora recepita”.
Home Benevento Attualità Benevento Disturbi psichici e diritto alla libertà, la storia di Giggino: “In Campania...
Disturbi psichici e diritto alla libertà, la storia di Giggino: “In Campania esistono ancora i manicomi”
Tempo di lettura: 3 minuti





















