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Napoli – «Quando Luca si arrabbiava noi ci chiudevamo in camera. Si arrabbiava spesso: temevo per me e per Lucio per questo ci chiudevano a chiave nella camera da letto prima di andare a dormire. Io l’ho fatto anche dopo la morte di Lucio perché avevo paura». Questa la testimonianza di Maria Scintilla Amodio la compagna di Lucio Materazzo, padre di Luca in carcere perché accusato di aver ucciso la sera del 28 novembre del 2016 il fratello Vittorio con oltre 50 coltellate sotto la sua abitazioni in viale Maria Cristina di Savoia a Chiaia, nel centro di Napoli. Versione confermata anche da Fabrizio Fiore, il nuovo compagno di Maria Scintilla che si è trasferito a casa Materazzo dopo la morte di Lucio, con la disapprovazione di tutta la famiglia. Nel corso della sua testimonianza ha parlato male di Vittorio e questo ha generato l’indignazioni della vedova Elena Grande, presente in aula. Questa mattina c’è stata una nuova udienza davanti ai giudice della Terza Corte d’Assise di Napoli e l’imputato, che da quando è iniziato il processo ha già cambiato cinque avvocati, ha preso ancora una volta parola accusando la polizia di aver creato un «quadretto investigativo ad hoc contro di lui» e di avergli fatto «pressioni psicologiche». Parlando alla giuria Luca Materazzo ha preso di mira l’operato delle polizia giudiziaria e sottolineato l’impossibilità di potersi difendere: «Ho nominato due avvocati senza ricevere alcuna risposta, ad ogni udienza parlerò per cercare di difendermi, perché questo è l’unico modo che mi è rimasto». Ma il giudice ha ribadito che la difesa si può esercitare tramite l’avvocato e non «con le dichiarazioni spontanee». Poi si è rivolto alle sorelle che erano in aula dicendo: «Coprono tutto, così è disumano».