- Pubblicità -
Tempo di lettura: 3 minuti

Un brusco risveglio, ancora una volta sul più bello. Il Napoli si è buttato via in una manciata di minuti al Castellani disintegrando le già ridotte possibilità di Scudetto. Un’altra prestazione che si fa fatica a commentare, la terza nel giro di due settimane dopo la sconfitta interna con la Fiorentina e il pari amarissimo con la Roma, gare in cui sono mancati soprattutto l’atteggiamento e l’ambizione davanti ai propri tifosi. Quando sei a un passo dal sogno dovresti produrre il massimo sforzo per realizzarlo. Invece agli uomini di Spalletti è accaduto l’opposto, nel momento più caldo della stagione. 

C’è chi si rifiuta di chiamarlo fallimento, ma in un certo senso lo è. Nel campionato peggiore dell’ultimo decennio per contenuti tecnici, in una serie A senza padroni, il Napoli ancora una volta ha mostrato limiti caratteriali che sono diventati ormai (e purtroppo) una costante dell’era De Laurentiis. La squadra di Spalletti è addirittura settima per punti conquistati in casa (30 contro i 39 dell’Inter) e ha sempre fallito l’appuntamento che le avrebbe consentito di fare il salto di qualità. 

Una questione, quella legata al campo, che si riflette chiaramente su una piazza che non sembra poi così interessata alle vicende della squadra. La magia degli anni di Sarri si è esaurita, quell’entusiasmo è andato scemando con il passare delle stagioni. Ed è forse arrivato il momento che qualcuno si interroghi seriamente sulla questione. Lo sanno tutti che Napoli, per calore e potenziale, è la città che più di ogni altra vive in simbiosi con la squadra. Basterebbe poco ad accendere la miccia, a rendere partecipe un intero popolo con enormi benefici per tutti (soprattutto per i calciatori, attori principali dello spettacolo), ma anche quest’anno chi è al ponte di comando ha viaggiato nella direzione opposta. 

La reazione ai fischi meritati di molti giocatori al 90′ della partita di Empoli è un’ulteriore spaccatura con il concetto di ‘napoletanità’. Dà la sensazione che per alcuni il vero traguardo fosse la qualificazione alla prossima Champions, che lo Scudetto sarebbe stato un ‘di più’, un bonus, non qualcosa di meraviglioso che avrebbe garantito l’immortalità ad ognuno di loro. Per non parlare dei soliti balletti social, del ritiro ‘permanente’ (che brutta parola) prima annunciato e poi revocato. Di tutti quei tweet che fanno sorridere – per non dire ridere – tutta l’Italia del calcio e non solo. Di una gestione sportiva quanto meno rivedibile se paragonata a quella del portafogli. Nel 2004 il Napoli fallì in tribunale, oggi ha fallito nell’arrivare al cuore della sua gente. Non esiste sconfitta peggiore.