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Nessuna mia fantasiosa realtà sulla condizione delle carceri in Campania, né tantomeno la mia autocelebrazione sui giornali: intervenire in momenti di disordini negli istituti di pena rientra nei miei compiti e, soprattutto, nei miei doveri di Garante. Per questo, ieri, non appena sono stato messo al corrente del fatto che, nel carcere di Bellizzi Irpino, alcuni detenuti stavano inscenando una protesta, sono corso per tentare una mediazione, anche su sollecitazione del Provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria della Campania, che – in questa sede – ringrazio per l’atto di stima. Il mio recarmi in carcere è stato dettato da un imperativo categorico che mi viene imposto dalla mia coscienza e non è la prima volta che mi comporto in tal senso in situazioni di questo tipo. Il fine ultimo di arrivare tempestivamente per interloquire con i detenuti, che riconoscono in me una figura di garanzia, non è certamente finire sui giornali per esaltare la mia funzione. Sono stato accusato di vivere il carcere dalla poltrona del mio ufficio nel Centro direzionale, ma chi mi muove queste critiche è comodamente, invece, seduto sulla sua di poltrona, a Roma. Ieri, tra l’altro, in quegli attimi di agitazione, i primi ad intervenire sono stati la direttrice dell’Istituto di pena di Bellizzi Irpino, il procuratore capo di Avellino e il magistrato di sorveglianza dello stesso Ufficio, che, nella fase iniziale, hanno fatto un lavoro eccellente. È stato un intervento collettivo, quindi nessun mio primeggiare. Piuttosto, voglio ricordare a chi, stamani, mi ha dipinto a tratti foschi, che non sono stato il solo a sostenere che non eravamo davanti ad una sommossa, perché anche il capo del Prap della Campania ha chiarito, subito, di «non essere davanti ad una vera e propria rivolta“, così il Garante campano delle persone private della libertà personale, Samuele Ciambriello.

Il ruolo di organismo di Garanzia ricoperto da Ciambriello – rieletto con la maggioranza dei voti del consiglio regionale -, così come quello dei suoi colleghi nelle altre regioni d’Italia – contrariamente a quanto sostenuto dal Sappe – è sancito da una legge regionale, che riconoscono loro la funzione di tutelare i diritti delle persone che vivono il dramma della privazione della libertà e, questi, non sono solo i detenuti”.