- Pubblicità -
Tempo di lettura: 3 minuti

Avellino – “Sono qui in osservazione. E’ vero che ognuno è chiamato a svolgere in proprio lavoro ma spero di vedervi alle prese con una città che ha le sue incognite e le sue potenzialità, le sue piaghe e le sue gioie. Non vi aspettate proclami, per me questo primo periodo è di ascolto per capire come si fa il Vescovo di Avellino e questo momento non vuole demonizzare nessuno” – così il nuovo Vescovo Monsignor Arturo Aiello incontrando i giornalisti della provincia irpina presso la sede di Palazzo Vescovile in Piazza Libertà. L’appuntamento rientrava nella fitta agenda che proprio Monsignore ha stilato di suo pugno. Un confronto diretto con i numerosi giornalisti che segna un altro momento del nuovo cammino che il neo Vescovo ha avviato e che è apparso da subito gradito.
“Chiedo alla stampa – ha proseguito – di non fare il photoshop della nostra Chiesa per renderla più bella: a voi chiedo di mediare, in modo sereno e il più obiettivo possibile, la vita della Chiesa che mi è stata affidata e che io sto appena iniziando a sillabare”.
Monsignor Aiello ha consegnato una impressione positiva della città e della comunità cristiana e si è soffermato a lungo a rispondere alle domande dei giornalisti che hanno riguardato le emergenze, le nuove povertà, i limiti che Avellino vive quotidianamente. Il Vescovo ha voluto ribadire pochi ma semplici concetti su quella che dovrebbe essere l’azione della Chiesa che certo non può sostituirsi ma può fungere da supplente come fa da tempo.
“Parlare di futuro significa parlare di persone, di paure, di angosce, di problemi – ha precisato il Vescovo -, di problemi dell’uomo, gli stessi da tempo. E rispetto a queste emergenze la Chiesa cerca di dare risposte assumendo un ruolo di supplenza. Però non può sostituirsi. Rimane fondamentale l’impegno di ognuno ed è bene che ciascuno vigili sull’operato dell’altro, vale anche per noi da parte delle istituzioni. In questa ottica anche la Chiesa può educare le nuove generazioni ad impegni concreti e anche politici. Purtroppo per un lungo periodo ci sono stati genitori atei senza figli. E oggi c’è un fuggi fuggi dall’impegno politico. Non si è trasmesso l’amore della polis, l’arte della polis. Classi politiche hanno pensato a mantenere le loro postazioni senza progettare il futuro. Ma il futuro è rappresentato da persone che sono abilitate ed educate anche tecnicamente all’aspetto amministravo e così credo che su questo la Chiesa possa offrire un contributo. Tante persone, anche credenti, con sani principi e con competenza non si misurano con la responsabilità della cosa comune. Si potrebbe pensare ad attivare un cammino, un itinerario di formazione al pre-politico, al politico in modo che la classe dirigente di domani possa emergere. Tutti devono però avere dei principi, purtroppo, invece, si sono succedute classi politiche senza figli, una condizione che ha prodotto una sorta di gerontocrazia. E’ vero che i giovani non ci sono, forse non li abbiamo chiamati, non li abbiamo educati e non li abbiamo lanciati. E per le emergenze, nell’immediato, chiamerò la mia Chiesa ad un impegno maggiore anche nel sociale per affrontare le quotidianità così come già si sta facendo, in attesa che sia lo Stato ad intervenire in maniera più incisiva e risolutiva, per esempio, sul fronte dell’accoglienza e delle povertà”.