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Benevento – Tra le regole non scritte della vita ce n’è una che non può essere trascurata: le esperienze insegnano. E della vita, per tanti, il calcio è parte integrante. La scandisce, la condiziona, la alimenta. I tifosi del Benevento oggi si sono confrontati con quella regola e hanno superato un esame dal retrogusto comico. Già, perché ormai dopo un gol non si sa più cosa guardare o aspettare prima. Fino allo scorso anno bastava lanciare lo sguardo verso l’assistente e capire se la bandierina era tenuta su oppure no: da quel gesto, banale quanto essenziale, dipendevano l’umore e le reazioni di chi non aspettava altro che produrre un urlo liberatorio. Oggi dopo un gol, causa Var, oltre al guardalinee si guarda il vuoto. L’urlo si trattiene in gola per qualche secondo, ci si scruta intorno, si attende l’arbitro. E’ successo così in occasione della rete di D’Alessandro. Detto che i gol sono merce rara nel Sannio in questa stagione, risulta ancora aperta la ferita causata dal match interno con il Bologna, quando Lucioni segnò e lo stadio esplose senza rendersi conto che fosse tutto vano. 

Ma la domenica del Vigorito, al di là dell’entusiasmo sprigionato da un gol segnato all’Inter, si è colorata di tanto altro. Di bambini, ad esempio. Bambini che indossavano maglie di colori diversi, seduti in posti vicini, a confrontarsi sui loro campioni preferiti. Ne abbiamo visti tanti, sugli spalti del Vigorito. Il piccolo Icardi era seduto accanto all’amico Ciciretti. Parlavano di calcio, di giochi,  scambiavano due chiacchiere, attendevano giocate. In poche parole, tifavano per le loro squadre del cuore. E’ stata una partita più che corretta anche tra i “grandi”. Diversi sfottò, poche parole grosse, infinita civiltà. E il rumore dei giorni scorsi si è trasformato di colpo in semplice brusìo. A cancellarlo sono bastati gli applausi del novantesimo. Sinceri, puliti, armoniosi. Uno spettacolo nello spettacolo.