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Apice – Dopo nove anni è stata chiusa la procedura di dissesto per il comune di Apice. Un lungo lavoro cominciato nel 2010 per una situazione ereditata dall’amministrazione Albanese dalla precedente, per un valore di oltre dieci milioni di euro. Ma non c’era solo questa cifra, andavano conteggiati anche gli otto milioni da dare a diversi Istituti di Credito. Insomma una situazione, economicamente parlando, molto complicata. E da quel momento in poi è partita la corsa per cercare di azzerare questa situazione. Con tanto sacrificio si è arrivati a marzo del 2019 e con grande soddisfazione è stato chiuso questo capitolo. 

Una storia che, però, non è stata così semplice come può sembrare. Aver dichiarato il dissesto nove anni fa non è stata la soluzione accettata da tutti, anzi. Quella che poteva sembrare una proposta per molti versi vantaggiosa, per altri, tanti all’interno dell’amministrazione comunale, è parsa come un qualcosa di affrettato. Va fatta una premessa, però. La dichiarazione di dissesto non nasce certo dall’oggi al domani, ci sono tante situazioni di gestione del bene comune che devono andare indietro nel tempo. Insomma, ogni sindaco si è trovato a dover affrontare una questione che arrivava dal passato. Poi, che non si sia messo un freno e si sia andati avanti lungo la stessa strada, questo è un altro discorso. Sta di fatto, che l’aver reso Apice il paese che è attualmente, è stato un prezzo alto da pagare. Il dissesto è stato il mezzo, forse il più facile possibile, per cercare di trovare una soluzione al problema, dimenticando, però, che anche questa soluzione porta con sè dei costi che la collettività deve sostenere: dai commissari, ai dipendenti utilizzati in straordinario, dalle consulenze che sono state numerose. Senza, d’altro canto, il comune sarebbe stato debitore della grossa cifra che doveva dare comunque. Con questa soluzione, invece, si può accedere a una cassa e soprattutto, si può andare alla transazione coi singoli creditori puntando a risparmiare qualcosa. Ed è ciò che è successo visto che, stando alla delibera del 13 marzo, ben 255 pratiche sono state definite, 93 non sono state ammesse a transazione e infine 47 non sono state definite per mancata accettazione della proposta transattiva. Il tutto per una cifra complessiva di 395 pratiche da espletare. E sono le 47 transazioni rifiutate che creano qualche grattacapo, perchè si tratta di cifre che i creditori vogliono per intero e questo potrebbe portare a una situazione economica nuovamente difficile. Insomma un dissesto che potrebbe costare caro senza un reale beneficio, almeno per questo aspetto.

Ma il problema principale, e forse è anche quello più banale, è capire come si è arrivati a questa situazione. Una risposta concreta non ci sarà mai, ogni sindaco passato per Apice, difenderà il suo operato per il bene della comunità, mettendo come scudo ciò che il paese era prima e ciò che è diventato adesso. Nessun dito puntato contro alcun amministratore, sia chiaro, ma pare veritiero che ci siano state, negli anni, amministrazioni che abbiano badato poco alle disponibilità in cassa, che qualche bilancio non sia stato rispettato, insomma che su certe decisioni ci sia stata una sorta di leggerezza.

Dopo nove anni è stata chiusa la procedura di dissesto, e questo è un dato di fatto, ma qualche dubbio resta ancora, domande che meriterebbero delle risposte. Da oggi che succederà? E soprattutto, come si giustificano ben nove anni di dissesto? Tanti, troppi. Punti interrogativi che, si spera, non cadano nel vuoto.

Ma il racconto non finisce qui. Apice è solo uno dei paesi sanniti che hanno affrontato questa situazione o che potrebbero affrontarla. La questione dissesto merita un approfondimento che vada al di là della situazione in se, ora viene la curiosità di capire come viene amministrato il bene pubblico.