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Benevento – Era un giorno come tanti, quello in cui decise di dire basta. Mise in ordine la valigia, salutò tutti e se ne tornò in Argentina. Fu così che Sebastian Bueno diede l’addio al calcio giocato e l’arrivederci all’Italia. L’ultima stagione a Perugia non aveva soddisfatto le sue aspettative, tutt’intorno vedeva un mondo che non andava come avrebbe voluto, come aveva sognato. Aveva 31 anni quel giorno, e della scelta non si pente ancora oggi. “Il calcio è una ragione di vita, ciò che ha alimentato i miei sogni sin da bambino, ma non ce la facevo più. Scendere in campo è bello, emozionante, dà sensazioni molto forti. Ma poi ti trovi a fare i conti con cose che non hanno niente a che vedere con un pallone che rotola. E allora capisci che devi chiudere, almeno per un po’ “.

Quello dell’ex attaccante di Benevento e Perugia è un caso particolare. Altri ci ripensano un attimo dopo, lui no. Una volta preso quell’aereo per Santa Fe, decise di cambiare totalmente vita: “Volevo fare altre cose, continuavano a giungermi telefonate ma avevo preso la mia strada – racconta ad Anteprima 24 – Tornai in Argentina e iniziai a lavorare nel negozio di mio suocero, specializzandomi nella vendita di macchine agricole. Le persone continuavano a chiedermi di tornare nel mondo del calcio, ma mi è servito tempo. Successivamente ho preso il patentino da allenatore e da tre anni guido la squadra del San Justino. Ci siamo tolti qualche soddisfazione vincendo il campionato di Santa Fe, ma la nota più bella riguarda i giovani. Ne abbiamo mandati 7 ai grandi club della zona come l’Union Santa Fe e il Colòn. Il mio sogno, un giorno, è tornare a Benevento. Lo dico senza retorica, mi piacerebbe un’esperienza nel settore giovanile giallorosso”.

Già, Benevento. Nel Sannio tre stagioni e mezza condite purtroppo da diverse delusioni: “Ci sono immagini che sogno ancora di notte, partite che rigiocherei, lacrime che ho versato. La finale con il Crotone è una ferita che mai si rimarginerà, prendemmo gol su un tiro occasionale, quando tutto sembrava ormai potesse girare a nostro favore. Che poi quel campionato lo sappiamo tutti perché lo abbiamo perso, ma lasciamo perdere. Ho sempre dato tutto per la maglia del Benevento, non ho nulla da rimproverarmi. La concorrenza in attacco era folta, ogni anno arrivava un centravanti forte con cui battagliare e poi Clemente per ogni pallone che toccava faceva gol. Era in uno stato di grazia incredibile. Riuscii a ritagliarmi comunque il mio spazio e pur non giocando moltissimo sono consapevole di non essermi mai risparmiato. L’importante, per me, è sempre stato il gruppo”.

Tanto lavoro sporco per favorire le giocate di chi in quel periodo non ne sbagliava una (leggasi Giampiero Clemente), ma anche un gol formidabile alla Ternana che in tantissimi hanno rispolverato dopo la rovescitata di Cristiano Ronaldo alla Juventus nei quarti di finale della scorsa Champions: “Lo dico senza alcuna presunzione, forse il mio era molto più difficile da segnare. Serviva una torsione perfetta per fare gol, a vedere le immagini ancora oggi mi faccio i complimenti da solo (ride)”.

Il rapporto con Clemente era solido, al punto che ‘il pescatore di perle’ lo volle con sè nella successiva esperienza al Perugia: “Andai in Umbria perché lui fece di tutto per avermi con sé in C2. Fu il mio ultimo anno da calciatore, ma anche lì trovai poco spazio. Vincemmo il campionato, segnai due gol, ma non fui protagonista. Capii proprio in quel momento che avrei dovuto allontanarmi dal calcio. Si sa, quando vai via di casa da giovane inizi a sentire la nostalgia. E questo, unito a tante circostanze che non gradivo, fu decisivo. Non sempre gioca chi merita, comandano i procuratori. E allora vale la pena di pensare a cose più serie, riabbracciare la famiglia”.

La famiglia che è poi anche la patria. Quell’Argentina che nel 2001 gli regalò un’esperienza indimenticabile. Il commissario tecnico Josè Pekerman lo inserì tra le riserve nelle convocazioni per il Mondiale under 20. “Feci tutto il ritiro con la selezione che comprendeva nomi come Coloccini, D’Alessandro e Burdisso ma non rientrai tra i convocati. Il Ct mi disse di tenermi pronto in caso di infortunio e l’occasione di entrare tra i disponibili si prospettò dai quarti di finale in poi a causa dell’infortunio di Dominguez. Non scesi mai in campo, ma fu comunque bellissimo vivere quei momenti e festeggiare la vittoria del titolo insieme ai miei compagni”.

Sembrava il trampolino per una grande carriera. In Italia a Catanzaro ben 18 gol in C2, un bomber implacabile: “Lì la squadra giocava per me, ero il finalizzatore, tutte le azioni d’attacco passavano per i miei piedi e per la mia testa. A Benevento ho avuto un ruolo diverso, non meno importante. Ricordo l’affetto della gente, quello stesso pubblico che lo scorso anno ho ammirato con il cuore pieno d’orgoglio confrontarsi con piazze storiche della serie A. Ai miei amici ne parlavo con grande trasporto”. 

Nell’intensa linea diretta con Santa Fe c’è anche spazio per un aneddoto riguardante il presidente Oreste Vigorito:Quest’anno seguo i risultati, gli aggioramenti, purtroppo non le partite. So che è un momento delicato, ma ad essere sincero non ho dubbi che la città tornerà dove merita di stare perché il presidente non si lascia mai abbattere. Un episodio lo descrive perfettamente: quando giocammo in coppa Italia con la Lazio nel 2008, nella sfida in cui segnai anche il gol del momentaneo 2-1, al rientro degli spogliatoi ci disse che non avremmo dovuto preoccuparci perché tra non molto il Benevento sarebbe tornato all’Olimpico da avversario nel campionato di serie A. Noi lo guardammo perplessi, qualcuno sorrise, avevamo appena perso 5-1. Ma alla fine, come avete visto, ha avuto ragione lui”.