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Benevento – Stavolta il Var non c’entra nulla, non c’è nessun Mazzoleni con cui prendersela. E persino la rabbia ha un’espressione diversa. Negli occhi di Oreste Vigorito non c’è spazio per la rassegnazione, per l’amarezza sì. Il presidente che la scorsa settimana si presentò ai microfoni di Sky lanciando fulmini in ogni direzione è più pacato, usa un linguaggio meno colorito ma figlio della sua terra. Si presenta ai pochi tifosi furenti in attesa all’esterno dello stadio con la voglia di dialogare, di ristabilire la calma mettendoci la faccia. Non un gesto comune, il suo. Apprezzabile. 

Si esprime in dialetto per dare tono e convinzione al suo pensiero. Ai tifosi che gli chiedono la ‘testa’ di qualcuno in particolare, risponde con il ragionamento. “Cercamm e ce capì, nun è ditt che l’at hann vinciut”, riferendosi al recupero tra Lazio e Torino in programma martedì sera, una partita che potrebbe decidere il destino del suo Benevento

Uno sprazzo di ottimismo nel momento più teso della stagione. Quel filo di speranza, sempre più sottile, è legato per un’estremità all’esito del match dell’Olimpico: “Martedì, si a partit ce dà ancor a possibilità, chist (i giocatori), miercudì se ne vann e tornan dopp ‘a partit (Torino-Benevento) tutt quant”. Nel discorso non è contemplata la parola retrocessione, non ancora. Vigorito non si arrende e rilancia rinviando al termine ufficiale del campionato qualsiasi decisione. “Nun è u mument e parlà mo, ce n’amma ij a cas”, dice ancora. 

Ci hanno impiegato poco, quelle parole, a trasferirsi nei vicoli, nei bar e nelle case di Benevento. Potere della tecnologia, di una condivisione compulsiva che trova terreno fertile in una città in caduta libera, in cui il dibattito su tematiche diverse dal pallone è prossimo allo zero. Basta un giro in centro per carpire il tenore dei discorsi, dei dialoghi, e dunque capire che sulle spalle di Vigorito (da qualche mese anche presidente di Confindustria), ci sono un pesante macigno e un’eccessiva responsabilità. Tenere in A la squadra vorrebbe dire tenere a galla una città che senza il calcio non trova il modo di emergere, sgretolata da anni di discutibile politica. Finché non è finita, almeno lui non vuole saperne di mollare. Che la sorte, e dunque i ragazzi su cui ha puntato soldi e speranze, gli diano finalmente una mano.