Ventura, continua l’incubo ‘azzurro’. E Viola ci ha ricordato qualcuno

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Salerno – Al campo ci siamo vicini, ma non troppo. Siamo in alto, decisamente in alto. La tribuna stampa dell’Arechi somiglia a un lungo vagone ferroviario. Puoi osservare quel che c’è al di là del vetro, goderti lo spettacolo del paesaggio, ma i suoni riesci a percepirli solo fino a un certo punto. A volte puoi soltanto immaginarli. I fischi dell’arbitro Abbatista (a questo punto un talismano per la Strega: due vittorie su due con lui a Salerno), giungono silenziosi alle nostre orecchie. E persino i cori dei tifosi non sembrano così intensi, sentiti da qui dentro. Diciottomila persone tra pubblico di casa e ospite, una grande cornice che merita solo applausi e rispetto perché rappresenta il calcio nella sua essenza più pura. 

Poi c’è la tv, certo. Quella che anche con lo sport ci ha aiutato a sentire vicine gioie altrimenti lontane, facendo esattamente lo stesso con le delusioni. Sarà per questo che nella notte dell’Arechi registrare qualche flash improvviso è parso inevitabile. Si prenda l’esordio della maglia celebrativa azzurra, ad esempio. Per il Benevento si è rivelato fortunato, per Gian Piero Ventura invece ha rappresentato il ritorno di un incubo che lo ha perseguitato a lungo. Un azzurro più tenue di quello della Nazionale che ha guidato nella sua drammatica (sportivamente parlando) esperienza da commissario tecnico conclusa con la terribile sconfitta nello spareggio contro la Svezia.

Per lui, dopo due vittorie consecutive con Pescara e Cosenza, la prima battuta di arresto è arrivata contro una squadra scesa in campo indossando il colore più amato dagli sportivi italiani. E a proposito di questo, eravamo davanti alla televisione anche quando nel 2006 Fabio Grosso fece esplodere le piazze del Paese segnando alla Germania nel modo che tutti conosciamo. Corner dalla destra, respinta di testa di Friedrich a centro area, la palla arriva al limite tra i piedi di Pirlo che la appoggia lateralmente proprio verso il terzino. Sinistro, rete.

Un gesto che ha fatto storia, un gol che – almeno in parte, lungi dal risultare blasfemi – ha qualcosa in comune con quello segnato da Viola all’Arechi. Il sinistro del reggino, scagliato a incrociare da posizione defilata dopo l’assist di Letizia sugli sviluppi proprio di un calcio d’angolo, non vale certo la finale di Coppa del Mondo, ma va ad inserirsi di prepotenza tra i ricordi indelebili dei tifosi che lo hanno vissuto. Compreso Inzaghi, presente in panchina sia a Dortmund, da giocatore, che a Salerno, da allenatore. Sempre dalla parte ‘giusta’.

Il battesimo di fuoco delle maglie Kappa ideate per i 90 anni del club, per quanto riguarda il campo, è stato da ’10’, numero che di per sé rappresenta la perfezione. Per la lode c’è una disputa in atto anche tra diversi tifosi, oltre che tra noi giornalisti. Riguarda i numeri, risultati a distanza illeggibili a causa del font troppo snello e della tonalità troppo scura.  Un bel problema, considerando la complessa riconoscibilità dei giocatori nelle azioni più concitate. E’ già capitato ad altri club di effettuare delle modifiche in corso d’opera, persino in serie A nei casi di Juventus, Udinese e Napoli (leggi qui). Chissà che non ci pensi anche il Benevento, di sicuro delle valutazioni saranno fatte. 

In definitiva, questo azzurro alla Strega dona parecchio. Così come dona a Perparim Hetemaj, che al debutto ufficiale nella nuova esperienza ha messo in campo una prestazione di grande sostanza. Battesimo per la divisa e battesimo anche per lui, in uno stadio che l’anno scorso vide esordire nel Benevento il difensore Luca Caldirola. L’Arechi, ultimamente, è foriero di ottime notizie.