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La sentenza del Consiglio di Stato che ha accolto il ricorso di due allevatori del Casertano contro gli abbattimenti ingiustificati di bufale va ben oltre il semplice aspetto tecnico: demolisce i principi su cui si fonda il Piano della Regione Campania“. Così Gianni Fabbris, presidente di Altragricoltura e leader degli allevatori casertani che si battono contro il piano regionale per l’eradicazione della brucellosi e della Tbc bufaline, commenta la sentenza dei giudici amministrativi che hanno annullato il provvedimento di abbattimento del dipartimento di prevenzione dell’Asl di Caserta di 600 bufale allevate in due aziende; dei 600 capi mandati al macello per presunta positività alla Tbc, solo 34 sono risultate realmente positività alla malattia. “La sentenza – aggiunge Fabbris – accoglie le tesi su cui ci stiamo battendo da due anni e impone una immediata presa d’atto da parte delle istituzioni. Ora, il Commissario ha la base giurisdizionale su cui rifondare e riformulare un Piano che funzioni davvero”. Commissario non ancora nominato però; “ogni giorno che passa senza la nomina del Commissario Nazionale – conclude Fabbris – è un giorno regalato alla mancanza di responsabilità della Regione Campania e espone le aziende, il territorio e i cittadini a rischi gravissimi”.

Nella pronuncia, i giudici di Palazzo Spada scrivono che il provvedimento di abbattimento manifesta “vizi di carenza di istruttoria e di violazione del principio di proporzionalità, nella parte in cui manca di fornire una valutazione di proporzionalità della misura di stamping out (abbattimento totale dei capi, ndr) adottata e,ancor prima, un adeguato giudizio prognostico sulla non recessività e sul rischio di diffusione della malattia, poiché nulla riportano in proposito, in quanto non motivano il perché non sia stato ritenuto possibile, ovvero sia risultato sommamente difficile, “risanare” l’azienda sede di focolaio; non specificano i dati sulla base dei quali sarebbe fondato presumere la mancanza di interferenze con altre infezioni e, quindi, ritenere pienamente affidabili gli esiti diagnostici anche in chiave di abbattimento totale dell’allevamento; e neppure illustrano gli ulteriori dati sulla cui base presumere la persistenza dell’infezione a distanza di circa 8 mesi dalla sua rilevazione ultima”.