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Ha ammesso di aver segnalato due lavoratori nel Consorzio rifiuti Caserta 4 e nel suo braccio operativo Eco4, società risultate infiltrate dalla camorra casalese, ma di non aver mai avuto rapporti con i clan. Mario Landolfi, ex ministro della Telecomunicazioni, è stato esaminato per circa tre ore al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) dove è imputato per corruzione e truffa con l’aggravante mafiosa, ovvero per aver agevolato il clan dei Casalesi.

Landolfi si è difeso attaccando sia l’ufficiale della Guardia di Finanza, Alessio Bifarini, che firmò l’informativa nelle quale il Ce4 veniva descritto come “in mano al clan” e lui come un politico colluso, che l’ex avversario Lorenzo Diana, parlamentre dei Ds e poi del Pd, volto anticamorra oggi sotto inchiesta per concorso esterno in associazione mafiosa. “Mai avuto contatti con i clan” ha detto; poi rispondendo alle domande del suo legale Michele Sarno – il pm della Dda ha rinunciato all’esame – Landolfi ha ammesso di aver “sollecitato l’assunzione in Eco4 del figlio o del nipote di un consigliere provinciale di Sessa Aurunca, che si chiamava Rocco, mentre in Ce4 segnalai l’ingegnere Giovanni Fusco, che poi è divenuto direttore amministrativo ed è l’unico dirigente del Ce4 a non avere mai avuto problemi con la giustizia”.

Il processo a Landolfi è una costola del procedimento a carico dell’ex sottosegretario nonché coordinatore campano del Pdl Nicola Cosentino, conclusosi in  primo grado con la condanna dell’ex politico di Casal di Principe a nove anni per concorso esterno in associazione camorristica, in quanto ritenuto il “referente politico nazionale” del clan dei Casalesi in relazione proprio alla gestione del Ce4. Su Lorenzo Diana, Landolfi ricorda che “nel 2000 noi di An chiedemmo e ottenemmo lo scioglimento del Consiglio comunale di Pignataro Maggiore in quanto il sindaco Giuseppe Palumbo aveva legami anche di parentela con il clan Lubrano; Palumbo era nella corrente dei Ds cui faceva capo Diana; quest’ultimo, proprio in quel periodo, poteva beneficiare di fondi per la metanizzazione di Mondragone. Di ciò che dico me ne assumo la responsabilità” dice Landolfi, quasi dando uno spunto investigastivo alla Dda, che ha indagato Diana proprio per i lavori di metanizzazione nel Casertano. “L’informativa di Bifarini – prosegue ancora Landolfi – era lacunosa, o meglio tendenziosa in quanto l’ufficiale scrive che venti sindaci che ricadevano nel bacino del Ce4 furono costretti, in quanto intimoriti dal camorra, ad affidare direttamente la raccolta rifiuti alla società mista del Consorzio, l’Eco4, fatta insieme ai fratelli Orsi, che come si è saputo dopo erano vicini al clan. Ma non è vero, in quanto fu il Commissariato Rifiuti, allora retto da Bassolino, a ordinare ai Comuni di servirsi dei Consorzi obbligatori per l’attività di igiene ambientale; è tutto documentato, ci sono verbali di riunione con il sub-commissario Facchi che tesseva le lodi di Eco4”.

Landolfi ha poi contestato i fatti per cui è imputato, ovvero la presunta corruzione di un consigliere comunale di Mondragone nel 2004, convinto a dimettersi con la promessa di far assumere la moglie in Eco4 e far diventare assessore il fratello, e le pressioni verso il prefetto di Caserta di allora perchè non sciogliesse il Comune dopo l’invio di una commissione d’Accesso. “Mai fatto alcun patto con il consigliere. Con il prefetto andai a parlare insieme a Nicola Cosentino; sapevamo che era Diana a fare pressione su du lui, dicemo così al prefetto di non permettere a Diana di fare i suoi giochi con il mio Comune”. Anche il boss di Mondragone, Augusto La Torre, sentito in un’udienza del febbraio 2015, disse che “Mario Landolfi non ha mai appoggiato il clan La Torre, e ciò nel periodo in cui ne sono stato il capo, ovvero dagli anni ’80 fino almeno al 2003”.