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Non vi sarebbe stato negli anni alcun rapporto di natura economico-criminale tra il consulente 69enne Nicola Schiavone e il capoclan omonimo Francesco “SandokanSchiavone (i due non sono parenti), ma “un legame determinato da ragioni di sola riconoscenza in virtù dell’aiuto che Nicola Schiavone e il fratello Vincenzo avevano ricevuto negli anni ’70 l’attività di impresa un tempo gestita personalmente dal capoclan“.
Lo scrive il giudice per l’udienza preliminare del tribunale di Napoli Linda Comella nella sentenza di proscioglimento emessa nei confronti del 69enne Nicola Schiavone, della moglie, dei tre figli e di altre tre persone, tutti accusati di riciclaggio e intestazione fittizia beni con l’aggravante mafiosa.
Parole, quelle del gup, che smontano la tesi della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, che ha sempre ritenuto il 69enne Schiavone storico socio e prestanome di Sandokan, di cui ha battezzato il primogenito Nicola, tanto da averlo più volte indagato e messo sotto processo per associazione camorristica, accuse da cui il 69enne imprenditore, come ricorda il Gup, è sempre uscito indenne. E’ accaduto con il maxi-processo Spartacus, dove Nicola Schiavone è stato assolto mentre il fratello Vincenzo è stato condannato a due anni.
Qualche anno dopo, il 69enne Schiavone ha riportato un’altra assoluzione per la stessa accusa, mentre sono state tutte rigettate dal 1995 al 2007 le proposte di applicazione di misure di prevenzione personali e patrimoniali avanzate nei suoi confronti per rapporti con i Casalesi. Attualmente è sotto processo al tribunale di Santa Maria Capua Vetere per la maxi-indagine della Dda sui presunti appalti Rfi finiti dietro regali e tangenti, e con la mediazione del 69enne, a ditte vicine al clan dei Casalesi, ma anche in questo caso, in sede di indagini preliminari e di valutazione dell’ordinanza cautelare che nel maggio 2022 portò Schiavone in carcere (poi liberato e posto ai domiciliari), prima il Riesame e poi la Cassazione hanno escluso il reato di associazione camorristica.
Parte fondamentale dell’inchiesta sugli appalti, confluita in un apposito processo, era proprio quella relativa ai prestanome del 69enne Schiavone, che per la Dda gli avrebbero permesso di riciclare in beni immobili i soldi dei Casalesi. Ma il Gup, nella sentenza di proscioglimento, scrive che da un lato “non risulta adeguatamente dimostrata la provenienza illecita delle provviste impegnate dagli imputati nelle operazioni contestate“, né che “le operazioni di intestazione fittizia fossero state realizzate per il timore di misure di prevenzione o procedimenti penali“.
Non essendo dunque provati i rapporti economico-criminali tra il 69enne e la famiglia di Sandokan, “è ben possibile – scrive il Gup – che Nicola Schiavone abbia continuato a mantenere rapporti con la famiglia di Sandokan, nei termini riferiti dai più stretti parenti di quest’ultimo (i figli Nicola e Walter e la moglie Giuseppina Nappa) per motivi diversi da quelli ipotizzati dalla pubblica accusa“.
Quelli di Schiavone con il capo dei Casalesi sarebbero rapporti di “natura personale“, dovuti ad una conoscenza decennale e dal fatto che Sandokan negli anni ’70 passò le sue aziende a Nicola Schiavone perché si decise che i capi della cosca non potevano continuare a fare attività di impresa. Anche i soldi dati dal 69enne a familiari di Sandokan fino al 2016 rientrerebbero, per il Gup, in tali stretti legami personali e non dimostrerebbero l’appartenenza del 69enne al clan.