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Caserta – Le dichiarazioni dei pentiti di camorra non sono attendibili, neanche quando formano la base di sentenza di condanna definitive. Lo dice a chiare lettere l’avvocato dello Stato Giuseppe Capodanno nella memoria di otto pagine presentata per conto del Ministero dell’Interno al Tribunale di Napoli in cui chiede il rigetto dell’eccezione di incostituzionalità depositata nell’ottobre scorso dal legale Giovanni Zara, che assiste i familiari di alcune vittime innocenti della camorra, in relazione alle norme sui requisiti per ottenere lo status di vittime della criminalità organizzata e il conseguente vitalizio. Per Capodanno tali norme, in particolare quella che dispone il rigetto delle domande per il riconoscimento dello status qualora il beneficiario “risulti coniuge, convivente, parente o affine entro il quarto grado di soggetti con precedenti per reati di camorra”, non violano in alcun modo la Costituzione, neanche in presenza di sentenza definitiva che dica che la vittima, pur parente di qualche affiliato, sia assolutamente estranea al clan. Per Zara sono invece norme ingiuste, che violano la Carta agli articoli 3 (principio di eguaglianza), 27 (principio della responsabilità penale personale) e 97 (principio del bon andamento della Pubblica Amministrazione).

La questione è stata sollevata nel processo per l’omicidio di Paolo Coviello e Pasquale Pagano, vittime innocenti dei Casalesi, uccisi nel 1992 per un errore di persona da parte dei killer, condannati con sentenza definitiva poche settimane fa dalla Cassazione. Zara assiste i familiari di Coviello e Pagano che, come tanti altri figli, genitori o fratelli di vittime innocenti dei clan, negli anni si sono visti negare i vitalizi previsti dalla legge nonostante le sentenze dei giudici avessero stabilito che i propri cari uccisi, nonostante qualche parentela “compromettente”, fossero completamente estranei al clan e quindi assolutamente incolpevoli. “Il punto è proprio questo” dice Zara. “Come può un Ministero continuare a non tener conto delle sentenze dei giudici e ad applicare automaticamente una norma ingiusta, che non tiene conto di fatti accertati”?

I Coviello, pur non  avendo mai fatto parte del clan, risultano comunque imparentati al quarto grado con un esponente della cosca (poi pentitosi), e questo, secondo il Ministero, è sintomatico di una contiguità al clan ostativa al rilascio del vitalizio; non viene invece tenuta in debito conto la sentenza di condanna dei killer, basata sui racconti dei collaboratori di giustizia; per il Viminale infatti i pentiti, senza le cui dichiarazioni il duplice delitto, come tanti altri cold case di camorra, non sarebbe mai stato risolto, non sono così attendibili; l’avvocato dello Stato parla di “alcune perplessità” in relazione a quanto affermato dai collaboratori. “Perplessità che i giudici, nei tre gradi di giudizio, non hanno avuto” ribatte Zara. Nella sua eccezione, il legale ha evidenziato come “in paesi piccoli ma ad alta densità mafiosa come Casal di Principe, Casapesenna, o per spostarci ad altre regioni, Corleone, Locri, i legami di parentela coinvolgano buona parte della popolazione, per cui si può avere un cugino mafioso senza essere avere nulla a che fare con l’ambiente criminale. In tal modo si creano vittime di serie A e vittime di serie B. Altro profilo di contrasto della normativa con l’articolo 3 della Carta è la previsione che non impedisce ad un collaboratore di giustizia che si sia macchiato anche di plurimi omicidi di ricevere un vitalizio se sua figlia è stata uccisa dopo la collaborazione”.