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Caserta – Tra strade di crateri, marciapiedi sfasciati, e degrado d’ogni tipo spicca un cartello che sembra una beffa: “Benvenuti al Belvedere di San Leucio, Patrimonio dell’umanità tutelato dall’UNESCO dal 1997“.

Ma cosa c’è oggi all’ombra di quel riconoscimento prestigioso che catalizza visitatori da tutto il mondo verso il primo esempio di colonia socialista voluta da Ferdinando IV di Borbone e culla del Codice Leuciano, esempio di dispotismo illuminato ispirato ad ideali di uguaglianza e solidarietà?

Abbiamo provato a guardare il sito e i borgo casertano con gli occhi dei turisti e la coscienza dei leuciani, o “cianpa janca” come la vulgata definiva gli “uomini tecnologici” voluti dal re nella sua colonia perché in grado di far funzionare le avanzatissime macchine di lavorazione e tessitura della seta.

Colonne di pullman approdano ogni giorno al centro della Piazzetta della Seta, in libera sosta dopo percorsi a dir poco accidentati e gimcane tra macchine e pedoni sparsi tra strade e marciapiedi senza soluzione di continuità.

A motore acceso scaricano, e aspettano, comitive di ragazzini in gita e turisti che, zigzagando tra il traffico bloccato e macchine in sosta scomposta, si guadagnano l’ingresso al borgo dove l’aria puzza di plastica bruciata.

Colpa delle aziende Conti e Conti 3 plastic division del Gruppo Letizia che da due anni operano a San Leucio con attività metalmeccaniche da zona Asi, lì dove un tempo si lavorava la seta più famosa al mondo spiegano i residenti che, costituitisi in comitato con il nome de “I borghi del Belvedere” insieme agli abitanti delle frazioni vicine di Vaccheria, Sala, e Briano, chiedono inascoltati l’intervento degli organi istituzionali preposti alla tutela della salute pubblica e dell’ambiente, anche a danno di un sindaco che da mesi promette e tradisce l’impegno di delocalizzare la fabbrica tra le più inquinanti della categoria.

E tra fetori, tir e  macchine parcheggiate e in transito senza geometrie, lo sguardo dei visitatori impatta sulla porta monumentale di accesso al borgo di San Leucio, sgretolata dal tempo e dallo smog, sospesa tra palazzi cadenti e degrado d’ogni tipo.

Anche le panchine, e quelle che un tempo dovevano essere le giostrine per bambini, annegano tra erbacce altre e sudicerie varie.

Ancora più scarrupate appaiono le case a schiera volute dal re Borbone per le 37 famiglie della sua “comunità di uguali”, distribuite su entrambi i lati della porta monumentale. Troppi i cartelli “vendesi” che dalle case dei quartieri borbonici pendono sullo scenario desolante di un cantiere abbandonato che da decenni promette il completamento di una scalinata faraonica che di fatto resta un aborto architettonico ridotto a discarica.

Resta lo scalone monumentale, uno scempio di pietre vischiose, divelte, e addirittura accatastate a ridosso degli ambienti immaginati per l’accoglienza ai turisti ma di fatto ridotti a caverne di ricovero per balordi e randagi.

Anna Rita Santabarbara