- Pubblicità -
Tempo di lettura: 2 minuti
NAPOLI – Quattro udienze per chiudere la partita contro i vertici del clan Contini. Da ieri, con l’avvio della discussione della pubblica accusa, è entrato nel vivo il processo ordinario che vede alla sbarra oltre cento imputati, tutti ritenuti affiliati o conniventi con la cosca del rione Amicizia.
Dopo due anni di udienze all’insegna dei più svariati colpi di scena, si avvia dunque alle battute conclusive il maxi-processo contro lo storico clan dell’Arenaccia. Sul tavolo delle accuse ci sono reati di assoluta consistenza. Associazione di stampo mafioso, armi, traffico di droga e riciclaggio: tutti gli ingredienti che hanno consentito al clan capeggiato da Eduardo “’o romano” di mettere in piedi un colosso economico-criminale con pochi precedenti nella storia della camorra.
Nel corso dell’udienza celebrata ieri pomeriggio, la prima delle quattro dedicate alle richieste di condanna, il sostituto della Dda Ida Teresi, supportata da una consistente produzione documentale (in primis sentenze della Cassazione), ha sostenuto la comprovata esistenza del clan Contini. Al termine della requisitoria del pm, prevista tra meno di un mese, le pene invocate si preannunciano già pesantissime: dai venti ai trent’anni di reclusione per i responsabili dell’“apparato militare” e della rete del narcotraffico. Oltre al gotha del clan, vale a dire il vertice che ancora oggi fa capo ai boss Eduardo Contini e Patrizio Bosti, alla sbarra ci sono anche due famiglie imprenditoriali di grande spessore: sul fronte di Roma e in Versilia, i Righi; a Napoli, invece, i Di Carluccio. Nel primo caso esperti in ristorazione, nel secondo nella gestione di impianti di distribuzione di carburante. Accanto a questi due nuclei ce ne sono poi anche altri impiegati nel settore dell’abbigliamento, ma anche in quello dell’oreficeria.
Luigi Nicolosi