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Una testimonianza lunga, con qualche contraddizione ma che la Procura sembra ritenere determinante per il prosieguo dell’indagine. «La persona che ho visto nel mio bar è qui in aula. È lui». Si è voltato e ha indicato Luca Materazzo, 37 anni, accusato di aver ucciso il fratello Vittorio la sera del 28 novembre del 2016 con oltre 40 coltellate. Quella sera, in viale Maria Cristina a Napoli, si consumò un delitto atroce: il corpo di Vittorio era in una pozza di sangue. Dopo mesi di indagini la svolta con l’arresto del fratello. Il movente legato a questioni di eredità: i fratelli sono figli di Lucio, costruttore napoletano, morto qualche anno prima.

Il testimone aveva dichiarato di aver visto nel bagno del suo bar in via Crispi, nel quartiere di Chiaia, a poche centinaia di metri dal luogo del delitto, mentre nudo provava a ripulirsi. «Aveva chiesto di andare in bagno, ma visto che non usciva ho bussato e sono entrato. Era nudo e si lavava». Si ripuliva dal sangue, sostiene l’accusa. Una testimonianza importate nel corso di un processo che si è acceso alla fine dell’udienza che si sta svolgendo davanti alla quarta Corte d’Assise di Napoli. L’avvocato Francesco Longhini, difensore dell’imputato Luca ha chiesto ai giudici una perizia psichiatrica sul suo cliente scatenandone una reazione molto violenta. Luca Materazzo si è scagliato contro il difensore e lo ha accusato di aver preso una iniziativa senza il suo consenso. I difensori ritengono che Luca abbia seri problemi di personalità che vanno approfonditi con una consulenza psichiatrica. A testimoniare tale circostanza ci sono una serie di mail che lo stesso Luca ha inviato al fratello Vittorio nelle quali gli riversava l’odio che che covava nei suoi confronti. È stata anche ascoltata la sua ex fidanzata e ha spiegato che spesso Luca le raccontava di sentirsi spiato e seguito e accusava di questo il fratello Vittorio che aveva sospetti su di lui, accusandolo addirittura di aver ucciso il padre, circostanza smentita.