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Gli affiliati al clan Fabbrocino non avevano bisogno di imporsi, nè di minacciare: bastava la loro presenza fisica davanti ad un qualunque esercizio commerciale per poter convincere i titolari a cedere soldi.

È questo lo scenario raccontato dal giudice per le indagini preliminari Emilia Di Palma che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare a carico di 11 persone ritenute appartenenti al potente clan che domina dagli anni Ottanta la zona di Ottaviano, località alle falde del Vesuvio. «Le condizioni di assoggettamento e gli atteggiamenti omertosi, indotti nella popolazione, costituiscono più che l’effetto di singoli atti di sopraffazione, la conseguenza del prestigio criminale dell’associazione che, per la sua fama negativa e per la capacità di lanciare avvertimenti, anche simbolici ed indiretti, sia accreditata come temibile, effettivo e autorevole centro di potere», scrive il magistrato per poter raccontare dei tanti episodi di estorsione che hanno caratterizzato nei mesi scorsi la vita di numerosissimi commercianti. Non solo soldi, nelle “canoniche” rate di Pasqua, Natale e Ferragosto, ma anche regali. Di ogni genere e valore: autovetture, capi di abbigliamento firmati, prodotti alimentari. «In quelle zone si vive in un clima di intimidazione e nella diffusa condizione di omertà».

Uno dei principali fattori che hanno assicurato la coesione che da sempre caratterizza gli affiliati al clan Fabbrocino è stata la capacità del sodalizio di assicurare «costante assistenza economica a tutti gli associati e, soprattutto, ai detenuti e alle loro famiglie». “La ricchezza delle casse del clan, in cui confluiscono non solo i proventi delle attività illecite, ma anche i profitti ormai derivanti dalla conduzione delle attività imprenditoriali intraprese e gestite dal clan con metodi mafiosi, permette, infatti, di scongiurare il pericolo che si vengano a creare condizioni di difficoltà da cui possano tranne origine spinte centrifughe e consente di rafforzare il vincolo di omertà anche nei confronti dei consociati”. Ecco il motivo, secondo l’interpretazione del giudice che ha firmato l’ordinanza, secondo la quale “nessuno dei Fabbrocino ha mai conosciuto il fenomeno della collaborazione con lo Stato. Solo esponenti di sottogruppi o gruppi contigui».