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Napoli – Maria Luisa Iavarone, professoressa di pedagogia all’Università Parthenope.

“Mamma di Arturo, vivo per miracolo dopo l’accoltellamento alla gola e a un polmone da parte di una baby-gang 4 anni e mezzo fa, quando ne aveva 17”. 
 
Sarà il suo primo voto alle comunali.
 
“E’ vero, sì: il suo primo voto per la sua città”.
 
Troverà la mamma tra i candidati.
 
“Sarà la prima volta anche per me”.
 
Questa volta ha detto sì.
 
“Nel 2018 e nel 2020, sia da schieramenti di destra che di sinistra, mi era stato chiesto di candidarmi per le elezioni politiche e quelle regionali”.
 
Ma rispose: no, grazie.
 
“Non era nè il tempo giusto, nè il campo sul quale mi sentivo di dare un contributo. Del resto, qualcuno già mi accusava di essere troppo esposta mediaticamente dopo quanto di tragico aveva subito mio figlio. E non volevo dare loro alcun appiglio”.
 
Maria Luisa Iavarone, fondatrice dell’associazione Artur, in campo coi Verdi.
 
“Artur: Adulti Responsabili per un Territorio Unito contro il Rischio”.
 
Nell’agone politico ha trovato adulti responsabili?
 
“Sto trovando un pò di tutto: trasformisti, riciclati, con un passato da far dimenticare, come sottolineano i giornali in questi giorni. Ma anche persone vere, che possono dare tanto”.
 
Bisogna scegliere bene.
 
“Proprio questo dovrebbe essere il primo atto di responsabilità a cui tutti i napoletani non dovrebbero sottrarsi. Andare a votare e scegliere non sulla scorta di 20 euro o di una convenienza personale spiccia”.
 
Su Repubblica, il prefetto Marco Valentini si è raccomandato: liste pulite.
 
“Per questo ho deciso di metterci la faccia in quella dei Verdi, a supporto della candidtura a sindaco di Gaetano Manfredi”.
 
Il suo più diretto competitor, l’ex pm della Dda Catello Maresca, quasi rivendica che solo lui può parlare di legalità.
 
“Purtroppo sto assistendo a un confronto astioso e velenifero”.
 
Ha catturato i casalesi.
 
“Ma la camorra non si combatte certo solo nelle aule dei tribunali. Con la sua logica, rimarremmo imprigionati in un paradigma di guerra, modello Afghanistan”.
 
Continueremmo a perderla, la guerra?
 
“Bisogna mettere in campo meglio tutte le misure di contrasto all’emarginazione sociale”.
 
Tre dei quattro aggressori di Arturo sono stati condannati definitivamente a 9 anni e 4 mesi. L’altro, a dicembre 2017, non era nemmeno ancora nell’età imputabile.
 
“Negli ultimi 4 anni ho ottenuto la giustizia dei tribunali, ma non quella nei territori della più grande ingiustizia sociale di cui è responsabile anche il Comune di Napoli: contro la povertà educativa, ogni anno, spende circa 25 milioni. Evidentemente, male”.
 
Causa pandemia, le scuole rischiano ancora di rimanere chiuse. E a Scampia si registra una evasione scolastica record.
 
“A Scampia, e non solo, per sottrarre le persone dalle grinfie della camorra bisogna dare loro strumenti culturali. Con la repressione deve esserci la prevenzione. Ma la Dad è stata un terrificante acceleratore di diseguaglianze culturali”.
 
Napoli rimane una città violenta.
 
“Bisogna saper essere più incisivi e non illudersi che basti un’azione di repressione: in rapporto alla popolazione, già adesso Napoli ha un numero maggiore di agenti di polizia municipale rispetto a Parigi e New York, ad esempio”. 
 
Bisognerebbe utilizzarli meglio.
 
“Senz’altro anche in un’azione di prevenzione educativa territoriale. Creando un vero e proprio ufficio ad hoc, ad esempio. Quello della Polizia Educativa. Con degli agenti specializzati ad andare nelle case e a stanare le famiglie che non mandano più a scuola i bambini”.
 
Toc-toc: chi è?
 
“Certo, con loro servirebbero anche assistenti sociali all’altezza. Quanti di loro oggi chiudono tutti e due gli occhi davanti a casi di evasione scolastica?”.
 
Tanti?
 
“Sì: bisogna bonificare la coscienza delle istituzioni”.
 
“I soldi del Recovery dovranno servire per costruire spazi educativi e di cultura e formare educatori all’altezza del compito”.
 
“Confermo quanto detto. Alla Parthenope ho voluto un corso per formare operatori educativi-sportivi per la prevenzione del rischio. Il mio più grande cruccio, che convido con Manfredi, è quello che i nostri migliori studenti vanno via anzichè restituire alla città le competenze che diamo loro”.
 
A Napoli non trovano opportunità.
 
“A Napoli bisognerebbe essere più lungimiranti. E organizzare delle vere e proprie accademie: per la nostra arte sartoriale, per quella culinaria, artigianale, orafa. Da quante grandi tradizioni potremmo attingere!”
 
Invece?
 
“Invece sembra che rincorriamo solo il turismo spicciolo. Napoli, come dice Ermanno Corsi, è diventata il luogo della masticanza: i turisti sciamano da un luogo all’altro solo per mangiare la prima cosa che viene offerta loro”.
 
Molti vanno a vedere anche i murales.
 
“Bene ha fatto il prefetto a voler cancellare quelli che inneggiano ai martiri della camorra”.
 
Quello per Arturo, invece…
 
“Nessuno mi ha autorizzato a farlo. Tutte le istituzioni mi hanno detto di sì, ma nessuna si è assunta la responsabilità di rilasciare un permesso”.
 
Emblematico.
 
“Perchè quel muro che ha fatto da sfondo all’aggressione ad Arturo non si capisce bene nemmeno di chi è: del Tribunale, della caserma Garibaldi, del Comune, della Soprintendenza?”
 
In via Foria c’è un muro anarchico.
 
“Su cui, come associazione, non ci hanno consentito un murales contro la violenza”.
 
A quel muro, però, un paio d’anni fa, fu attaccato uno striscione a firma Casa Pound: “Foria ha bisogno di risposte, non di murales”.
 
“Quando io andavo in cerca di risposte per abbattere il muro dell’omertà, quelli di Casa Pound non li ho visti”.
 
Li ha visti in seguito?
 
“Nemmeno. Hanno solo voluto rompere un fronte che volevo unitario: quello che reclamava giustizia”.
 
Ci sono riusciti?
 
“Per la vicenda del murales, il messaggio, paradossalmente, è stato: se lo vuoi illegalmente, lo puoi benissimo realizzare dalla sera alla mattina. Se lo vuoi seguendo le regole, non è possibile.”
 
Lei, comunque, è una donna “fortunata”.
 
“L’ho scritto ne ‘Il coraggio delle cicatrici’, il mio libro a 4 mani con Nello Trocchia”.
 
L’ha ricordato anche in un post che di recente ha dedicato a Maria Licciardi, la boss arrestata qualche giorno fa.
 
“Le nostre storie paradossalmente sono intrecciate”.
 
Perchè?
 
“Perchè Arturo è stato salvato dai chirurghi vascolari del San Giovanni Bosco. Lo stesso ospedale che le indagini hanno definito ‘base logistica dell’Alleanza di Secondigliano’. Sono i più bravi a ricucire le ferite da taglio: hanno imparato a farlo curando i soldati di camorra. Come i medici di guerra fanno in un ospedale di Kabul”.
 
Napoli, Kabul.
 
“Non deve essere così. Nonostante i 94-95 clan che si contano in città”.
 
Novanta e passa organizzazioni criminali.
 
“Io sono una pedagogista sociale: occorre lavorare a un cambiamento nella società”.
 
Uno scenario da serie-tv.
 
“Vorrei tanto che la Rai, Sky e tutte le altre grandi case produttrici non venissero a Napoli solo per depredarla. Ma che, dopo aver raccontato il suo lato oscuro, almeno lasciassero qualcosa”.
 
Cosa dovrebbero lasciare?
 
“Una filiera industriale anche qui, ad esempio. Dando lavoro a quei stessi ragazzi di cui raccontano le storie”.
 
Napoli è na’ carta sporca.
 
“E’ utilizzata come set. Non come luogo a cui restituire una economia stabile, una vera occasione di sviluppo”.
 
Se le chiedessero di fare una fiction su quanto accaduto ad Arturo?
 
“Direi di sì. A patto che abbia un significato pedagogico, civile. Che non si riducesse a continue scene di violenza fini a se stesse, di puro sensazionalismo. Dovrebbe lanciare un messaggio positivo”.
 
A proposito di set: il centrodestra di Maresca ripropone la chiusura di Nisida e il carcere minorile in un altro posto.
 
“Dal sistema-carcere nessuno esce migliore: di questo bisognerebbe ragionare”.
 
Lei vorrebbe che si riformasse l’esecuzione penale minorile.
 
“La maggioranza dei ragazzi di Nisida continua a delinquere. Stando alle denunce degli agenti penitenziari, lo fa persino sull’isola approfittando del sistema celle-aperte che fa convivere ragazzi dai 14 ai 25 anni: una cosa assurda”. 
 
Se venisse eletta in consiglio comunale?
 
“Rinuncerei alla mia indennità per la stessa ragione per la quale non ho chiesto il risarcimento danni a chi ha attentato alla vita di mio figlio. E diventerei una sentinella per controllare in primis gli appalti nel campo sociale ed educativo”.