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NAPOLI – Nel corso del convegno organizzato ieri per ricordare la figura del grande architetto, il “costruttore di utopie”, Aldo Loris Rossi, il presidente dell’Ordine degli architetti Leonardo Di Mauro ha confidato che negli ultimi giorni ha subito un grande pressing da parte, tra gli altri, di Michelangelo Russo, il preside del Dipartimento di Architettura della Federico II.

“Ma come? Tutti parlano della nuova piazza Municipio tranne tu?”

E quindi, Di Mauro, che insegna storia dell’architettura e si professa “un conservatore accanito”, ha detto la sua.

Sostanzialmente ha promosso la piazza ridisegnata da Alvaro Siza e Eduardo Souto de Moura che tanto continua a far discutere.

E ha spiegato anche il perchè: “I napoletani che si lamentano del poco verde lo fanno perchè appartengono a quella generazione che ricorda la piazza voluta da Achille Lauro (sindaco per due mandati: dal 1952 al 1957 e nel 1961, ndr), col giardino all’inglese in mezzo, le vasche, le piscine, le fontanelle. Ma quella di quegli anni era una piazza in netta contraddizione con la storia”.

Di Mauro, infatti, ha ricordato: “Piazza Municipio è stata sempre una piazza di pietra con due schiere di alberi ai lati, a destra e sinistra. E il progetto di oggi riprende proprio quest’idea: piazza Municipio, fin dal Seicento, è stata sempre un rettangolo che, da San Giacomo, scendeva verso il molo senza soluzione di continuità”.

Il presidente degli architetti ha sottolineato che ciò, tra l’altro, lo si evince anche da un quadro di Antonio Joli della seconda metà del Settecento.

Tutto bene, quindi?

Non proprio. Di Mauro, se proprio deve muovere una critica all’attuale piazza, lo fa sull’utilizzo dei lecci (“che per me sono di una tristezza senza pari perchè, come le palme, non segnano le stagioni come i platani del Vomero e di via Caracciolo”) e, soprattutto, rimarcando alcune “incongruenze, stranezze di carattere storico che si sono venute a creare con il ritrovamento dei resti archeologici di età romana e medievale”. Ritrovamenti che, secondo lui, non sono stati ben valorizzati.

Ad esempio, si è perso, con il nuovo disegno della piazza, ogni segno del fatto che al Maschio Angioino si accedeva tramite un passaggio che era in continuità con l’attuale via Medina.

“Io, Benedetto Gravagnuolo e Pasquale Belfiore – ha confidato – lo facemmo presente all’allora Sovrintendente ai Beni Culturali di Napoli Stefano Gizzi. Sarebbe bastato aggiungere una pedana molto leggera per far rivivere quel passaggio d’accesso al castello così come ce lo consegnava la storia, ma ci fu risposto che ormai tutte le scelte erano state fatte. Che, al posto della pedana che suggerivamo, sarebbe sorta un’ascensore: rimanemmo inorriditi”.

E quindi: “Ha ragione l’assessore Edoardo Cosenza a dire oggi che c’è un tempo per discutere e uno per fare. Ma è anche vero che all’epoca della progettazione, nei tempi giusti, delle cose furono dette…”

Un peccato. Tanto più che, oggi, sempre secondo Di Mauro, il vero “dente cariato” della piazza è rappresentato dai resti archeologici che si sono lasciati scoperti lungo le mura del castello: “A Napoli, come ogni fosso con pietre, vedi quello di piazza Bellini o lo spazio davanti all’Incoronata, diventeranno ingovernabili. Sono stati lasciati come spazio decorativo, ma credo che prima o poi dovranno essere ricoperti. E pensare che si sono demolite cose preziosissime che invece meritavano maggior tutela”.

Il professor Di Mauro si è dato anche una spiegazione a questa scelta: “A un certo punto, la società che gestisce la Metropolitana ha avuto fretta di andare avanti. Ma, davanti alla scoperta dei resti archeologici, avrebbe potuto di nuovo interpellare Siza e de Moura chiedendo loro se fosse il caso di rivedere il loro progetto valorizzandoli. Invece, si ebbe paura di rallentare troppo le cose”.

Col senno del poi, una vera e propria beffa: “Le cose – ha concluso Di Mauro – comunque sono andate molto al rilento…”.