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Napoli – Non ce l’ha fatta il detenuto del carcere di Poggioreale che ha contratto il virus e che da due settimane lottava tra la vita e la morte. La morte del detenuto mette ulteriormente sotto i riflettori la situazione di assoluta criticità che attraversano le carceri di tutto il paese, luoghi dove il virus può circolare liberamente e contagiare un alto numero di persone tra i detenuti ed il personale carcerario.

Attualmente sono 115 i detenuti del carcere di Poggioreale ad aver contratto il virus, mentre sono 62 in quello di Secondigliano. Sono 220, invece, i contagiati tra gli agenti penitenziari e personale ausiliario, tra cui anche Antonio Fullone, direttore del carcere di Poggioreale.

Mauro Palma, il Garante nazionale dei detenuti, ha avanzato la proposta di “liberazione anticipata”, sostenuta anche dai cappellani delle carceri della Campania che, in una missiva inviata al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, chiedono di “rivedere la sua posizione sull’indulto, che in questo momento sarebbe una misura di civiltà giuridica che porrebbe freno alla condizione inumana in cui i detenuti versano

E poi aggiungono: “Chi era ai margini lo è ancora, e aggiunge alla sua ordinaria condizione di precarietà anche quella di un’esposizione al rischio di contagio sicuramente maggiore. Con effetti deflagranti anche dal punto di vista psicologico. Ma chi soffre di più sono i detenuti, che sono dimenticati e pagano il prezzo del venir meno di un ordine normale delle cose, di provvedimenti restrittivi che hanno acuito la sofferenza di chi è recluso, causando rivolte e morti”.

Nella lettera i religiosi parlano di: “un’informazione su quanto accade tra le mura delle carceri pressoché inesistente e quindi di uno stato di paura e angoscia costante”, chiedendo “la riforma dell’ordinamento penitenziario che è stata procrastinata da tutti i governi”.

In un momento in cui le carceri si affollano – proseguono i cappellani – e prende corpo nella società una visione spregiudicata che tende a presentare la sanzione penale e il carcere come gli antidoti ad ogni male. Istituti penitenziari gonfi all’inverosimile, in cui, di fatto, la situazione è ingestibile”.

La proposta consiste nello “estendere a quanti più soggetti possibile la liberazione anticipata e, con la collaborazione dei Comuni, provvedere a dare un domicilio a tutte le persone detenute che ne sono prive. E’ necessario considerare con urgenza l’ipotesi di una legge sulle misure alternative, che le potenzi, le sviluppi e le favorisca. Riformando gli uffici di sorveglianza, troppo spesso lenti, anzi lentissimi.

Questa lentezza – scrivono i sacerdoti – si traduce in una sostanziale violazione dei diritti dei detenuti. È necessario scarcerare chi, anche come residuo di maggior pena, si trova nella condizione di dover espiare pochi anni. Ciò favorirebbe il reinserimento nella società”.

Non possiamo arrenderci – concludono i cappellani -. Non accettiamo l’idea che il principio di solidarietà debba essere espunto dal nostro contratto sociale. Crediamo in una giustizia dal volto umano”.