Stipendi degli amministratori locali, per il Mef i super aumenti sono un obbligo inderogabile. Ma allo stesso tempo, gli aventi diritto possono sempre rinunciarci, in tutto o in parte. Questo il responso del Ministero dell’Economia e delle Finanze, interpellato da Anteprima 24. Una questione di interpretazione normativa, certo. Ma con importanti ricadute politiche, ed anche sui bilanci comunali. Un esempio ne è il Comune di Napoli. Qui da anni si registrano polemiche, sulle indennità triplicate al sindaco Manfredi e alla sua giunta, dovute alla legge di bilancio 2022. La circostanza ha pesato nel dibattito sui costi della politica. All’incremento per sindaco e giunta, infatti, sono legati a cascata quelli dei consiglieri comunali. E sempre in misura percentuale, anche quelli delle indennità nelle municipalità.
L’anno scorso, la Ragioneria generale del Comune ha lanciato l’allarme sulla spesa per gli emolumenti nei parlamentini. Era un alert all’amministrazione in riequilibrio finanziario, dove però emergeva una forte crescita del costo per le municipalità. Anche questo un effetto della Finanziaria 2022, varata dal governo Draghi. Sia pur indiretto, perché la legge statale disciplina le sole indennità di sindaci e assessori. È poi il Regolamento comunale delle Municipalità ad agganciare gli stipendi dei parlamentini agli scatti di quelli a Palazzo San Giacomo. Ma tutto questo era proprio necessario, o al Comune di Napoli potevano evitarlo? A fare chiarezza nella materia prova il Mef. “Si informa che – risponde il ministero – la legge n. 234 del 2021 (legge di bilancio 2022), all’articolo 1, commi da 583 a 587, ha previsto un incremento dell’indennità di funzione dei sindaci metropolitani e dei sindaci dei comuni delle regioni a statuto ordinario, parametrando la stessa al trattamento economico complessivo dei presidenti delle regioni, nelle percentuali indicate nella stessa disposizione, destinando allo scopo apposite risorse”. Analogamente, riassume il Mef, “anche le indennità di funzione dei vicesindaci, degli assessori e dei presidenti dei consigli comunali sono state adeguate alle indennità di funzione dei corrispondenti sindaci, sempre ricorrendo a un meccanismo di parametrazione con l’applicazione delle percentuali previste dal decreto del ministro dell’interno del 4 aprile 2000, n. 119”.
Dal ministero si ricorda che l’aumento dell’indennità dei sindaci, “per espressa previsione normativa, è stato adottato in misura graduale per il 2022 e 2023 e, a regime, a decorrere dal 2024″. In particolare, “in sede di prima applicazione – precisano – , è stato previsto l’adeguamento dell’indennità di funzione al 45 per cento nell’anno 2022 e al 68 per cento nell’anno 2023, ferma restando la possibilità per gli enti interessati di corrispondere tale indennità nelle misure integrali previste già a decorrere dall’anno 2022, nel rispetto pluriennale dell’equilibrio di bilancio”. Alla luce di quanto evidenziato, il Mef sottolinea: “La norma che ha disposto gli incrementi dell’indennità dei sindaci e degli altri amministratori locali ha un effetto cogente, come si evince dal tenore della stessa disposizione che non opera in senso facoltizzante”. Vale a dire, si tratterebbe di disposizione obbligatoria. E quindi non sarebbè possibile un’attuazione discrezionale. “In fase di prima applicazione, riferita agli anni 2022 e 2023 – aggiunge il Mef -, l’unica facoltà prevista dalla norma è quella riconosciuta ai comuni di erogare l’indennità in misura integrale anziché ridotta, rispettivamente al 45 e al 68 per cento”. Resta tuttavia “esclusa la discrezionalità di non prevedere l’incremento”. C’è però un ma. Il Mef rammenta, inoltre, “che trattandosi di un diritto di credito per sua natura disponibile non è preclusa al sindaco e agli amministratori locali, indipendentemente dal disposto normativo, la facoltà di rinunciare, in tutto o in parte, all’indennità di funzione spettante”. Chissà se a Napoli qualcuno avrà mai optato per la rinuncia.