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Milano  – Non c’è “dubbio” che Fabio Manduca “abbia brigato per conseguire un risultato processuale liberatorio” continuando a negare “addirittura di essere l’investitore” e ricorrendo alla “facoltà di mentire”, ma non lo ha fatto certo per “occultare una volontà omicida” che è “incerta e gracile” e non è stata provata. Lo scrive la Corte d’Assise d’appello di Milano nelle motivazioni della sentenza con cui, il 29 settembre, ha confermato la condanna a 4 anni in abbreviato per omicidio stradale per l’ultrà napoletano arrestato nel 2019 per aver travolto e ucciso con il proprio suv il tifoso del Varese Daniele Belardinelli. Tifoso morto negli scontri del 26 dicembre 2018, in via Novara, poco lontano dallo stadio di San Siro, prima della partita tra Inter e Napoli. La Procura, che in primo grado aveva chiesto una condanna a 16 anni, aveva impugnato puntando, come in primo grado, sull’omicidio volontario con “dolo eventuale”, ossia con l’accettazione nella condotta del rischio dell’evento. La stessa Procura generale, però, in appello aveva chiesto la conferma del verdetto per Manduca, difeso dal legale Eugenio Briatico. I pm avevano contestato la ricostruzione del giudice Carlo Ottone De Marchi sulla dinamica dell’investimento, spiegando che l’ultrà con l’auto aveva puntato contro il gruppo di interisti (con loro ultrà di Varese e Nizza gemellati) che avevano invaso via Novara, mentre arrivava la carovana di macchine di ultras napoletani. In un contesto “di caos e guerriglia“, scrive la Corte di secondo grado, come quello in cui Manduca “è venuto a trovarsi imprevedibilmente, poteva, al più, mettere in conto” un “rischio accentuato” di esser coinvolto in un incidente. Non c’è prova, invece, del fatto che Manduca, resosi conto che Belardinelli “si era posizionato” sulla sua traiettoria, abbia “proseguito la sua corsa” accettando il rischio di ucciderlo. La Corte ha riformato solo e ai fini del risarcimento civile la parte della sentenza che riguardava il presunto “concorso doloso della vittima” che aveva preso parte alla rissa. Concorso che per i giudici di secondo grado non c’è stato.