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Una protesta spontanea, rilanciata dal passaparola sui social, per dire no alla Venere degli stracci. “Questo tipo di opere non rappresenta cultura e tradizione del popolo napoletano” dice Roberto Siconolfi, uno dei tre giovani organizzatori, con Armando Romano e Massimo Cascone. “E oltretutto – aggiunge – ha anche costi forti”. Si ritrovano in piazza Municipio, sotto l’opera bis di Michelangelo Pistoletto, gemella di quella incenerita a luglio.

La scenografia del sit-in è minimal: un microfono, una cassa e uno striscione. C’è scritto “Napoli non è radical chic”. È il provocatorio titolo della protesta. L’accusa è proprio questa: la Venere sarebbe il prodotto delle élites liberal, lontane dai bisogni della gente comune. Più di un’opera: un simbolo. Di un’epoca, e di una giunta comunale. “La spesa è percepita come l’ennesimo sgarbo di quest’amministrazione” attacca Massimo Cascone. I promotori dell’iniziativa giurano sul “dissenso di molti cittadini nei confronti di quest’opera”. Contestano al sindaco Manfredi di trasformare Napoli in “una città vetrina, ad uso e consumo dei turisti”. I soldi occorsi per la Venere? Meglio destinarli ai “tanti problemi in questa città” sostiene Cascone.

Ciro Borrelli del comitato di via Mastellone a Barra è un attivista anti roghi, la piaga dell’ex campo rom di Napoli Est. “È  pericolosa, può ancora prendere fuoco” grida puntando il dito sull’installazione. E promette un esposto alla procura della Repubblica. “Non è stata donata, ma l’abbiamo pagata 250 mila euro” incalza Maria Muscarà, consigliera regionale indipendente. Anche lei è intervenuta a sostegno dei manifestanti. Diversi cittadini si alternano al microfono, sfogando i malumori. Il sit-in ben presto diventa uno Speaker’s Corner. Come fossimo a Londra, e non sotto il Maschio Angioino. “Questa statua – afferma Muscarà – è esteticamente brutta e non rappresenta nulla di Napoli, se non la sua parte peggiore”. Intorno sfilano centinaia di turisti, in città per il ponte di primavera. Alcuni ascoltano le invettive, altri si fanno un selfie sotto la Venere.

Ciro Borrelli