No alla colmata di Bagnoli, sì alla rimozione. Lo chiedono alcune osservazioni pervenute al Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, nell’ambito della procedura integrata di Valutazione Ambientale Strategica (Vas) e Valutazione di impatto ambientale (Vas). È un’integrazione al programma originario perché a Bagnoli, come reso noto, sono cambiate le carte in tavola. Sarà rimossa non più del tutto, ma solo al 15% la colmata. Cioè la striscia di 195.000 mq di materiale di risulta, proveniente dall’ex insediamento siderurgico. Una mossa decisa nell’ambito del piano di risanamento ambientale, ma con un occhio pure alla America’s cup del 2027. Ma proprio in nome delle bonifiche, attese da 30 anni, c’è chi si oppone alla colmata. Come prevede la legge, nella procedura Via-Vas, cittadini e associazioni stanno formulando osservazioni. Ad esempio, un parere pro bono è prodottto da Alberto Lucarelli, ordinario di diritto costituzionale alla Federico II, e Andrea Eugenio Chiappetta, ricercatore del dipartimento di Giurisprudenza all’ateneo federiciano. La loro conclusione è chiara: bocciare il procedimento, o in subordine sospenderlo.
Servirebbe infatti “una nuova fase di consultazione pubblica piena, informata e preventiva“, anche ai sensi della Convenzione di Aarhus, il trattato internazionale volto a garantire ai cittadini il diritto alla trasparenza e alla partecipazione nei processi decisionali. Per i due giuristi, tutto ciò sarebbe sinora mancato. “Le modifiche proposte – sostengono -, sono state relegate ad una fase di consultazione limitata, avviata solo nel momento in cui le scelte progettuali risultavano già sostanzialmente definite”. Questo implicherebbe una violazione del Trattato, ma anche dello stesso testo unico dell’Ambiente. Si ricorda che “la partecipazione deve essere effettiva, informata e collocata in una fase sufficientemente precoce, quando tutte le alternative sono ancora praticabili”. Nel caso di specie, “invece, il coinvolgimento delle comunità è stato postumo e meramente formale”. E peraltro “limitato alla possibilità di presentare osservazioni su un progetto che prevede la trasformazione permanente della linea di costa, la perdita di una porzione significativa di arenile pubblico e la conservazione di volumi edilizi precedentemente destinati alla demolizione”. Non a caso, si sottolinea che la colmata “è da tempo percepita come elemento transitorio, da rimuovere per restituire continuità ambientale e paesaggistica alla fascia costiera”. La proposta “di mantenerla in sito, con destinazione a spazi pubblici e nuovi volumi edilizi” sarebbe “non condivisa dalle comunità locali, che da anni rivendicano la piena restituzione del litorale”. Tra l’altro, “la proposta progettuale si pone in aperta contraddizione con gli esiti della precedente Vas conclusasi con DM 47/2019, che sanciva la necessità della rimozione integrale della colmata”.
A detta di Lucarelli e Chiappetta, la nuova proposta progettuale trascurerebbe “del tutto l’impatto che la perdita della continuità del litorale avrà sulla vocazione turistica, sportiva e culturale dell’area”. Infatti, “pur conservando parte dell’obiettivo funzionale (balneabilità)“, la modifica sacrificherebbe “la piena bonifica” e introdurrebbe “elementi di permanente alterazione antropica“. Averrebbe questo “compromettendo l’integrità ecologica della fascia costiera e modificando la linea di costa in modo strutturalmente non reversibile“. In sostanza, al posto di “un’unica spiaggia pubblica continua di 2 km (prevista dalla versione originaria del Praru)” si avrebbero “due arenili disgiunti, separati da un’area non balneabile (colmata messa in sicurezza)”. La soluzione comprometterebbe “l’accessibilità e la fruizione integrata” del waterfront, “in palese contraddizione con le finalità sociali e ricreative espresse nel piano urbanistico del 2019”. Tra gli elementi di contrarietà, si avanza anche una “incertezza e criticità tecnico-sanitaria” della “messa in sicurezza permanente della parte residua della colmata”. Tale operazione, una ‘sigillatura’ degli inquinanti, “si fonda su presupposti tecnici non verificabili nel lungo termine”. Ossia “non elimina le sorgenti di contaminazione potenziale ma le contiene”. Questo esporrebbe “l’area e l’ecosistema marino a rischi futuri in caso di degrado dei dispositivi di contenimento”.
Un netto no viene anche dalla Rete Sociale NoBox – Diritto alla Città. Corredando le osservazioni con una tabella comparativa, sulla procedura l’associazione ritiene “che non possa trattarsi di semplice integrazione ma di un nuovo progetto”. Per chiarire: “Molti degli “assi prioritari” e molti degli “obiettivi specifici” del progetto pubblicato nel maggio del 2025 risultano addirittura stridenti se comparati a quelli del progetto dell’aprile 2019″. E la natura del progetto presenterebbe “caratteristiche e fini completamente diversi da quello di cui al rapporto ambientale dell’aprile 2019”. Un passaggio è dedicato ai presupposti fissati dal commissario straordinario di governo “al fine di studiare alternative al progetto originale”. Tra le presunte svolte a U, si cita anche l’introduzione del nuovo “Asse Prioritario “HUB Nautico”, e del relativo Obiettivo strategico 7:, “Sviluppo delle potenzialità del territorio legate all’economia del mare nelle sue diverse componenti”. La corrispondente Azione “è stata declinata in tutte le più diverse forme possibili, dall’ampliamento del porto turistico (diventerà ad esclusivo uso dei mega yacht), alla realizzazione di un porto turistico a secco per barche fino a 10 m – scrive la Rete -, alla realizzazione di cantieri di retrofitting, alla casa del diportista, ai ristoranti ed infine all’interno del “miglio azzurro” anche di un impianto per il recupero della vetroresina (insomma un cantiere per la demolizione delle barche)”. A detta dell’associazione “tutto ciò appare un vero e proprio controsenso alla luce del vincolo paesaggistico esistente, alla luce di quanto previsto addirittura dal Praru vigente (masterplan 2023), ed infine alla luce di quanto previsto da tutti gli strumenti urbanistici, tra l’altro, vigenti”.

Ulteriore elemento di dubbio è “l’elaborato dal titolo “metodologia progettuale e collaudo””. Alla “pagina 23, ultimo capoverso – si annota -, viene indicato che la colmata non è una discarica”. Per i No Box tuttavia “non si spiega il perché non lo sarebbe”. A parere dell’associazione ecologista “invece, lo è, in quanto essa contiene, anzi è composta, in grande percentuale, anche da residui di lavorazione e/o di demolizione”. Al riguardo si richiama il Testo unico ambientale, per la definizione. Insomma, ci troveremmo “di fatto” dinanzi ad “un programma che riguarda la gestione rifiuti”. In più “si osserva che non risulta essere stato previsto un piano di controllo e verifica dei livelli di sicurezza ambientale e sanitari da raggiungere e mantenere”. Per quanto argomentato, la novità “meriterebbe quanto meno che il soggetto attuatore Invitalia richiedesse”, una “nuova valutazione Vas”.