- Pubblicità -
Tempo di lettura: 3 minuti

Stiamo vivendo la più grande emergenza che questo Paese abbia mai conosciuto almeno dai tempi del secondo conflitto bellico. Un’emergenza che ci vede coinvolti a tutti i livelli. Tra dati che si rincorrono e previsioni discordanti, ipotesi non meglio definite sulla cosiddetta “fase due”, poco comprensibili ottimismi che platealmente stridono con l’agghiacciante conteggio delle vittime di questa epidemia, non mancano di moltiplicarsi rinnovati appelli al senso di comunità e a un nuovo e più consapevole sentimento nazionale.

Appelli, evidentemente, del tutto condivisibili. Ancora di più se si tiene conto del fatto che questo Paese si porta dietro, da almeno un secolo e mezzo, l’incapacità di dar finalmente vita a una coscienza condivisa. Provare a enucleare le ragioni di questo stato di cose sarebbe impresa oltremodo gravosa e di certo ben al di là delle competenze di chi scrive.
Eppure, proprio nei giorni dell’emergenza e dei richiami all’unità del Paese sembra che un inveterato “vizio”, connaturato – ahinoi – a una parte rilevante della discussione pubblica, continui a trovare terreno fertile.

Mi spiego meglio.

Ho sempre ritenuto che uno dei problemi irrisolti del Sud fosse la persistente tendenza alla de-responsabilizzazione. Il continuo ricercare in “altro” o “altri” l’origine dei mali di questa terra. In questo senso è paradigmatico il successo del revisionismo “neo-borbonico”; tanto insostenibile sul piano storico quanto efficace palliativo su quello “psicologico”.
Lo pensavo e lo penso tutt’ora.

Detto questo non si può non sottolineare come negli ultimi giorni stia montando un crescente sentimento anti-meridionale, soprattutto per ciò che concerne una parte consistente del mondo dell’informazione.

Strisciante, sotterraneo, carsico, mai esplicito e per questo – forse – ancora più deleterio.
Dalle dichiarazioni al limite dell’incredulità per la capacità del sistema sanitario del Meridione di far fronte al diffondersi dell’epidemia di Covid-19, al malcelato fastidio nel riconoscere che al Sud si è stati molto più diligenti nel rispettare le direttive sulla quarantena. Dalle immagini (sic!) degli assembramenti alla Pignasecca, fino all’epic fail di Mentana sul Cotugno – per tacere dei titoli di Libero e degli attacchi ad Ascierto – abbiamo assistito ad un coacervo di luoghi comuni triti e stantii.

In tal caso il “vittimismo” non c’entra nulla, è che si sta consapevolmente veicolando un messaggio pericoloso, fondato su “ricostruzioni” tendenziose e allergiche a ogni riferimento ai fatti.

E anche di questo si dovrà discutere una volta che ci saremo lasciati alle spalle questa situazione surreale. Perché, se davvero vorremo procedere alla ri – costruzione di un nuovo sentimento di comunità, la prima cosa da fare sarà quella di far piazza pulita di certa retorica che odora di muffa.