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«Devi guardare bene le carte perché è tutto a posto. I collaudi sono regolari». Sarebbero queste le frasi fatte arrivare a una funzionaria del comune di Marano che era incaricata ai controlli sui collaudi dei capannoni che sarebbero serviti ai fratelli Aniello e Raffaele Cesaro, in carcere dal metà maggio con l’accusa di associazione camorristica.

Questa la frase a fondamento dell’avviso a comparire notificato dai Ros al parlamentare di Forza Italia Luigi Cesaro, indagato dalla Dda di Napoli per minacce a pubblico ufficiale aggravate dal metodo mafioso. I fatti ipotizzati risalgono a febbraio dello scorso anno quando Luigi Cesaro, secondo la ricostruzione degli inquirenti, «avrebbe fatto avvicinare, da un uomo a lui vicino, una funzionaria dell’Ufficio tecnico comunale per chiederle un incontro», perché si era messa di traverso nella pratica dei suoi fratelli. In quella circostanza le avrebbe fatto pervenire quello che i magistrati ritengono un messaggio intimidatorio, «in considerazione anche del potere politico esercitato da Cesaro sul territorio».  E non il “peso” politico, bensì quello «mafioso». Secondo la procura antimafia lo scopo sarebbe stato di «non far adottare provvedimenti contrari agli interessi dei due fratelli imprenditori». L’aggravante dell’articolo 7 si riferisce al presunto scopo di favorire il clan Polverino di Marano, il cui capo, Giuseppe Polverino, è ritenuto socio di fatto degli imprenditori per la costruzione del Pip di Marano. Nel corso dell’interrogatorio di garanzia della settimana scorsa i due fratelli Cesaro si sono avvalsi della facoltà di non rispondere ma hanno comunque deciso di rendere delle dichiarazioni spontanee nelle quali confermavano l’estraneità alle accuse mosse dalla Procura di Napoli e soprattuto affermavano di avere avuto in banca una grossa disponibilità economica per gestire il progetto del Pip di Marano e di non aver per questo bisogno dei soldi della camorra. L’invito a comparire è stato firmato dal pm della Dda di Napoli Mariella Di Mauro e dal procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli.