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Valva (Sa) – “In emergenza covid-19 mentre il Paese soffre, lo Stato consente la scarcerazione dei mafiosi al 41 bis e trascina in tribunale me e mia moglie colpevoli di portare i fiori nel luogo in cui è morto nostro figlio a Rigopiano”.

Tuona contro lo Stato, la politica e la magistratura, Alessio Feniello, il papà di Stefano, il 28enne di Valva, deceduto insieme ad altre 28 persone, sotto una slavina che distrusse e fece crollare l’hotel Rigopiano di Farindola, in Abruzzo, il 18 gennaio del 2017.

Indignazione quella di Feniello che giunge all’indomani della notifica da parte della Procura di Pescara, di ben tre avvisi di conclusione indagini, nei quali lui e la moglie, Maria, sono accusati di violazione dei sigilli di un’area sottoposta a sequestro per essersi recati per ben due volte, tra agosto e settembre dello scorso anno, tra le macerie dell’hotel Rigopiano per deporre dei fiori nel luogo in cui è morto il figlio Stefano.

Non abbiamo violato alcun sigillo e né tantomeno scavalcato cancelli o recinzioni – chiarisce Feniello. Ogni volta che io e mia moglie ci rechiamo a Rigopiano nell’area dell’hotel che è stata bonificata e le cui macerie sono state rimosse, entriamo in un punto in cui l’accesso è  privo di barriere tanto che da lì accedono finanche i pastori che fanno pascolare le pecore e i turisti che vanno a scattare le foto nell’area dell’hotel”.

Luogo della tragedia che però è ancora sottoposto a sequestro dalla Procura ma di facile accesso a chiunque dunque. “La Magistratura non può impedirmi di depositare un fiore dove mio figlio è stato ammazzato dalla negligenza delle Istituzioni – chiosa Feniello che annuncia – continuerò a recarmi a Rigopiano ogni volta che ne avrò l’esigenza”.

Non è la prima volta però, che Feniello finisce al centro di una indagine della Procura per la stessa motivazione. Già tre anni fa infatti, il papà di Stefano venne condannato al pagamento di una multa di 4500 euro per aver depositato i fiori sulle macerie dell’hotel in memoria del figlio, violando i sigilli dell’area sottoposta a sequestro. Multa che Feniello rifiutò di pagare, finendo in tribunale.

Ora però, a quella prima “multa del dolore” a cui fece seguito anche lo sconcerto e l’indignazione di numerosi esponenti politici nazionali del centrodestra che dopo le dichiarazioni rilasciate per mesi a carta stampata e tv e la promessa di non lasciare solo papà Feniello nella sua battaglia, a cui non sono mai seguite azioni concrete,  il padre di Stefano che per quel procedimento penale sta affrontando un processo che si sta svolgendo presso il Tribunale di Pescara dove nei prossimi mesi verranno ascoltati anche dei testimoni, dovrà rispondere anche di un secondo episodio per lo stesso reato.

Non ho paura del processo – dice – con la morte di mio figlio ho già perso tutto. L’unica cosa che desidero e per la quale continuerò a battermi – conclude papà Feniello – è che i responsabili della morte di mio figlio e di altre 28 persone a Rigopiano, finiscano tutti in galera. Voglio giustizia“- chiosa.

Ad oggi però, nonostante un processo in corso sulla tragedia dell’hotel Rigopiano che vede decine di persone indagate, l’unico condannato è Alessio Feniello, colpevole di  aver deposto dei fiori nel luogo dove è morto il figlio Stefano a Rigopiano