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Salerno – “Voglio cantare e si nun canto moro,/ E si nun canto me sento murire./ Me sento fa’ nu nureco a lu core/Nisciuno amante me lo po’ sciuglìre”. Sono i versi di Libero Bovio, l’autore di “Passione”, a cui ha pensato il cantante e chitarrista Carlo Lomanto per ri-tornare sulle scene e presentare mercoledì 19 agosto 2020, alle ore 20.30, il suo lavoro. La location è quella dell’anfiteatro della Tenuta dei Normanni (Giovi Bottiglieri, Salerno) per la XXIII edizione dei “Concerti d’estate di Villa Guariglia in tour” organizzati dall’Associazione CTA di Salerno – quest’anno in forma ridotta -, ospitati all’interno del Festival delle Colline Mediterranee organizzato dalla Fondazione della Comunità salernitana con il patrocinio della Regione Campania e del Comune di Salerno e la direzione artistica di Eduardo Scotti. Il concerto avrà un suo preludio con l’anteprima della VI edizione del SalerNoir Festival Le Notti di Barliario: Gabriella Genisi presenta il libro “I quattro cantoni”, a dialogare con l’autrice sarà Piera Carlomagno. Ingresso libero su prenotazione (www.postoriservato.it / 3713418949 – 328 7758557).

 Mercoledì sera Carlo Lomanto presenta il suo ultimo lavoro discografico “Passione”, nato tra le ombre del lockdown. “Ho cercato di far dialogare la tradizione e la modernità sia nel mio modo di cantare – rivela Carlo Lomanto – i brani proposti, sia negli arrangiamenti, a cominciare da “A Vucchella” del 1892 e fino ad arrivare al nostro benamato Pino Daniele con “A me me piace o Blues” ovviamente non poteva mancare Carosone con “Maruzzella” e Modugno con “ Io Mammeta e tu!”. Mi sono poi permesso di inserire tre brani di cui ho scritto la musica e a cui hanno messo le parole tre grandi autrici Napoletane: Federica Cammarota, Miriam Lattanzio e Daniela  Carelli che ringrazio per questi tre brani a cui sono particolarmente affezionato. Ho deciso di chiamare questo album “Passione” per due motivi, il primo è perchè nel mio primo album del lontano 2000, quindi giusto vent’anni fà, c’era questa canzone e quindi 20 anni dopo ho deciso di ricantarla per l’occasione, secondo, perchè la parola “Passione” è quella che ha mosso tutta la mia vita e continuerà a farlo per sempre”.

Risulta non facile fissare la specifica identità della canzone napoletana, perché essa è come un mare che ha ricevuto acqua da tanti fiumi. È figlia della poesia, come quasi tutti i canti di antica tradizione, e ha espresso, come le è universalmente riconosciuto i sentimenti, la storia e i costumi di un popolo. Nello stesso tempo, però, si è adattata alle esigenze di mercato, diventando, di volta in volta, canzone di taverna, da salotto, da ballo, teatrale, sia comica che drammatica, e chi sa quante altre cose ancora. Non sempre e non solo bisogno di canto e di poesia, quindi, ma anche buono o cattivo artigianato. Il fatto singolare è che la canzone, “porosa” come la città – per dirla con la definizione che Benjamin coniò per Napoli -, ha assorbito tutto, riuscendo a rimanere in fondo se stessa. Malgrado sia stata contaminata, nel tempo, da sonorità appartenenti ad altre culture e ad altri generi musicali, la melodia napoletana è riuscita a conservare un suo codice di riconoscimento, un proprio DNA, quel “profumo”, che la rende inconfondibile, come una lingua perduta, della quale abbiamo forse dimenticato il senso e serbato soltanto l’armonia, una reminiscenza, la lingua di prima e forse anche la lingua di dopo , quel “profumo” , che la rende inconfondibile, come una lingua perduta, lasciandoci ogni volta affermare che fra un’antica villanella di Velardiniello e “A me m’ piace o blues” di Pino Daniele  passano oltre quattrocento anni ma sono figlie della stessa madre, quel mood che ci fa dire che sono entrambe “canzoni napoletane” .