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Fausto Pepe e palazzo Mosti. Una relazione lunga venti anni. Cominciata e finita con Mastella. In origine da suo alfiere, in conclusione da oppositore. D’altronde, in politica due decenni corrispondono a un’era geologica. Tempo più che sufficiente a racchiudere ascesa, trionfi e caduta di un politico cresciuto sui marciapiedi di questa città.

E dai marciapiedi alla scrivania da sindaco al primo piano della casa comunale di via Annunziata il cammino è stato un susseguirsi di successi. Eletto consigliere una prima volta nel 1996 poco più che trentenne – la casacca era quella del Centro Cristiano Democratico -, Fausto Pepe il suo spazio se lo guadagna da acerrimo oppositore della destra beneventana. Vesti che non smetterà mai di indossare. Neanche quando si invertiranno i ruoli. Una contrapposizione, spesso sostanziatasi in polemiche aspre e in crudi botta e risposta tra lui e Pasquale Viespoli, capace di sopravvivere anche alla fine di quel bipolarismo centrodestra-centrosinistra che pure l’aveva generata.

A candidarlo sindaco, nel 2006, è l’Udeur di Mastella, allora proprietario  della stragrande maggioranza delle quote del centrosinistra sannita. Una scelta di Sandra più che di Clemente, si è detto. Ma la sua parte Pepe pure la gioca. Innanzitutto ponendosi in Consiglio come pacificatore di un centrosinistra presentatosi diviso alle elezioni del 13 maggio del 2001 e uscito a pezzi dalle consultazioni. Anche per questo, nel 2006, l’indicazione proveniente da Ceppaloni è raccolta ben volentieri da una coalizione il più eterogenea possibile, capace di mettere assieme il partito del Campanile e le esperienze della sinistra più radicale fino pure al centro sociale Depistaggio.

Raccogliendo le preferenze del 56% dei beneventani, non serve il ballottaggio per la sua elezione a sindaco. Fausto Pepe rappresenta allo stesso tempo l’elemento di riscossa e speranza del centrosinistra beneventano.

Il 16 gennaio del 2008, il primo momento di svolta. L’Udeur è travolto da una bufera giudiziaria. Ne paga le conseguenza anche Pepe, raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari per una vicenda che esula la sua attività da sindaco. Solo sette giorni e la misura viene revocata. Di fatto, dal punto di vista giudiziario,  la vicenda si rivelerà una bolla di sapone. Politicamente, però, è l’inizio della rottura con Clemente Mastella.  

La fine dell’idillio tra l’ex Guardasigilli e il centrosinistra è infatti inevitabile. Nel febbraio del 2009, a Roma, i coordinatori campani di Forza Italia e Alleanza Nazionale, Nicola Cosentino e Mario Landolfi, sottoscrivono con il segretario regionale dell’Udeur Antonio Fantini quello che sarà ricordato come il ‘Patto di San Valentino’. Prevede la candidatura alle europee con il Popolo della Libertà di Clemente Mastella e la costruzione di una “alleanza organica, chiara e coerente”. Contestualmente, si avvia una fase di verifica politica in Campania, a partire dal Sannio.

Pepe è dinanzi a un bivio: seguire il suo mentore nella sua nuova avventura berlusconiana o proseguire con il centrosinistra. Sceglie la seconda strada, portando con sé un numero di amministratori utile a tenere in piedi la maggioranza a palazzo Mosti.

L’esperienza di governo prosegue. Benevento diventa città Unesco, cresce la raccolta differenziata, parte il Piu Europa. Orfano di partito, però, nel 2011 la strada per la ricandidatura si fa in salita, complice anche un finale di consiliatura burrascoso. Nel Pd prende quota l’ipotesi delle primarie, con l’opzione Pietro Iadanza sostenuta dall’allora consigliere regionale Umberto Del Baso De Caro. Alla fine la quadra si trova.

Pepe si candida per il bis. Il suo sfidante più pericoloso, incredibilmente, è Carmine Nardone, ex presidente della Provincia e tra i più autorevoli esponenti in assoluto della sinistra sannita, dirigente del Partito democratico. E’ lui la punta del Pit, il Patto Istituzionale per il Territorio che comprende pure Pasquale Viespoli e Clemente Mastella. A segnare inesorabilmente l’esito della sfida, però, è la scelta dei consiglieri comunali del Pit che la mattina del 13 aprile del 2011 rassegnano le dimissioni in uno studio di un notaio, anticipando di un mese il termine della consiliatura.

A firmare, anche cinque consiglieri provenienti dalla maggioranza: il manifesto ‘contro i traditori’ segna l’inizio della campagna elettorale di Pepe che con il 51,6% dei voti vince ancora al primo turno.

E’ il punto più alto della sua parabola da sindaco. Ma la macchina si inceppa subito.

La seconda avventura amministrativa non entusiasma sin dagli inizi. Certo, il contesto è mutato, la Regione ‘amica’ di Antonio Bassolino non c’è più e la crisi comincia a mordere e a far male. Ma il clima che si respirava nel 2006 è solo un lontano ricordo.

La discesa inizia all’alba dell’8 gennaio del 2013. Scoppia ‘Mani sulla Città’, in carcere finiscono due amministratori comunali e un funzionario tecnico. Per il sindaco di Benevento è disposto l’obbligo di dimora fuori città, poi trasformato in obbligo di firma. Qualcosa si rompe inevitabilmente, nel rapporto tra il sindaco e la città ma anche in quello tra Pepe e la sua maggioranza.

Nel 2015, poi, arriva la seconda importante rottura politica per Pepe. Le sue aspettative di candidatura alle Regionali non trovano accoglienza nel Partito Democratico. Il sindaco non condivide la linea impressa da Del Basso De Caro e lancia la candidatura nella lista ‘De Luca presidente’ del suo fedele Lucio Lonardo.

“Chi è civico oggi, sarà civico anche domani” – le parole di De Caro suonano come una scomunica.

In Consiglio, di fatto, la maggioranza non c’è più. Sono più le sedute che saltano per mancanza del numero legale che quelle chiuse da un atto deliberativo. La fine della seconda consiliatura diventa un calvario e anche dal punto di vista amministrativo arrivano solo brutte notizie, come la bocciatura del piano anti-dissesto.

Sempre più isolato all’interno del Pd, Pepe reagisce con la candidatura di Cosimo Lepore a quella di Raffaele Del Vecchio sponsorizzata e sostenuta dalla stragrande maggioranza nel partito. Le primarie suonano come una resa dei conti. ‘Lealtà’ perde ma resta in piedi. Quel che accade nelle ore immediatamente successive al voto lascia presagire la rottura definitiva.

Ma quando oramai si attende solo l’ufficializzazione del candidato sindaco del gruppo che fa capo a Fausto Pepe arriva a sorpresa l’accordo con De Caro: il sindaco uscente può candidarsi a capo di una seconda lista ‘democrat’.

Dalle urne, però, arriva questa volta una clamorosa bocciatura. Il risultato deludente della lista pepiana fa quasi più rumore della sconfitta del centrosinistra. La stessa scelta di Pepe di candidarsi al Consiglio è sonoramente respinta dai beneventani: colui che era stato eletto sindaco due volte al primo turno, resta in consiglio racimolando appena 351 voti.

Sabato scorso, infine, le dimissioni.

L’esperienza insegna che i giudizi espressi a caldo sono sempre influenzati dai ricordi più recenti e risultano perciò meno obiettivi.  Verrà il tempo per storicizzare l’esperienza a palazzo Mosti di Fausto Pepe.

Applausi e fischi. Luci e ombre. Vittorie e sconfitte. Entusiasmi e contestazioni. Sentimenti e giudizi contrastanti oggi assopiti dall’indifferenza. Ma domani? Cosa prevarrà?