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Il presepe contro l’esclusione e le discriminazioni per ricordarela lunga traccia di sangue che hanno lasciato nella storia“. E’ quello allestito da Don Vitaliano Della Sala ai piedi dell’altare della chiesa dei santi Pietro e Paolo a Capocastello di Mercogliano. Ad accudire il Bambino sono due donne, simbolo delle famiglie Arcobaleno.

Il 26 dicembre, 5 e 6 gennaio invece ci sarà l’accensione del presepe vivente sempre per la comunità di Capocastello in localita Acqua del Pero. Edizione dedicata alla lotta contro la violenza sulle donne con la sistemazione delle scarpe rosse davanti la mangiatoia.

Presepe

“Il disprezzo, anche da parte di settori della Chiesa cattolica nei loro confronti – spiega Don Vitaliano – E la loro condanna a prescindere, senza un confronto serio e onesto, è una sorta di pennellata di tenebre che contribuisce a dipingere la notte del nostro tempo. Ecco perché ci sono due mamme nel presepe: la luce del Natale quest’anno la vedo risplendere anche su queste famiglie, colpite da critiche e condanne disumane e antievangeliche”. E’ uno dei passi che Don Vitaliano ha lasciato scritto sui social, a corredo della foto del presepe.
 
NATALE 2023. Una famiglia? Tanti modi di essere famiglia: “nulla è impossibile a Dio”.
“Qualcuno rovesciò il calamaio sulla tela; ora si vanta: ho dipinto la notte!” scriveva Tagore. Il disprezzo, anche da parte di settori della Chiesa cattolica contro le “famiglie arcobaleno” e la loro condanna a prescindere, senza una discussione e un confronto serio e onesto, è la pennellata di tenebra che contribuisce a dipingere la notte del nostro tempo. Perciò ci sono due mamme nel presepe: la luce del Natale quest’anno la vedo risplendere anche su queste famiglie colpite da critiche e condanne disumane e antievangeliche.
 
Ogni anno Natale ci ricorda che è intenzione di Dio ripartire dai margini, dai confini non solo geografici, dove persone, lingue, religioni e culture si confondono in una nuova e colorata babele. Dopo Betlemme e ritornati dall’Egitto, dove erano fuggiti per salvarsi dal sanguinario Erode, Giuseppe con la sua famiglia “si ritirò in Galilea” (Matteo 2, 22). La Galilea quasi non è considerata Israele, ma non è ancora un paese straniero: è un territorio dove le razze si mescolano e la contaminazione tra cultura e religione si fa realtà; è il luogo non del bianco, né del nero, ma delle sfumature, dove la purezza del Popolo di Dio si diluisce nella diversità dei popoli pagani circostanti.
 
Da ogni pio israelita la Galilea è ritenuta terra di eretici. La Galilea è la terra degli esclusi. L’esclusione ha tracciato lungo la storia una scia rossa di sangue e di dolore. Anche oggi intorno all’esclusione si gioca moltissimo della sopravvivenza dignitosa di miliardi di esseri umani. Con il primato dell’economia abbiamo costruito un tipo di società che per sopravvivere ha bisogno di escludere, di respingere ai margini o in mare.
 
Ma l’esclusione non è praticata solo nell’ambito della società civile, anche la Chiesa non di rado pratica l’esclusione, relegando ai margini autentici testimoni di Gesù Cristo che urtano il potere, che battono vie nuove, quelle strade su cui subito prendono a camminare gli ultimi, i poveri di Dio, e sulle quali invece inciampano, scandalizzati, i benpensanti. Invece proprio la logica dell’inclusività è l’avvenire della Chiesa: una Chiesa che non emargina, non usa la pesante scure del giudizio contro nessuno, una “Chiesa degli esclusi e non dell’esclusione” (mons. J. Gaillot), capace di accogliere, di portare tutti in seno. La liberazione operata da Gesù inizia proprio dalla Galilea, metafora di ogni esclusione sociale e religiosa. Al “centro”, idolatrato come simbolo di ogni potere, Dio preferisce la periferia, simbolo di ogni emarginazione.
 
Gesù alle situazioni e ai luoghi ben definiti, prediligerà l’indefinitezza dei confini; alla staticità del tempio contrapporrà la dinamicità della riva del lago di Galilea. Agli uomini che cercano sempre di descriverlo come l’onnipotente, Dio racconta la sua storia di salvezza per dimostrarci il contrario: lui predilige il piccolo, l’insignificante, il debole. Allora, per comprenderlo non servono vuoti e indiscutibili dogmi, né presuntuose e ingessate teologie, ma l’impalpabilità, l’irrequietezza e l’imprevedibilità dell’amore. La Galilea “è una terra e un popolo aperto alle nazioni dei dintorni. Le frontiere si incrociano dando luogo all’inclusione del diverso in molteplici miscugli” (Omelia di mons. Romero, 4 marzo 1979).
 
Questo è il Regno che Dio sogna per noi, che vuole regalarci, che in Gesù si è fatto vicino, a portata di mano. Questo è il Regno che Gesù è venuto ad inaugurare, dal quale nessuno è escluso e dove ciascuno ha diritto di cittadinanza. Un Regno che non coincide per nulla con quelli terreni, che anzi capovolge la nostra concezione del potere. Un Regno senza confini certi e precostituiti dove la croce si trasforma in resurrezione, la morte ridiventa vita; dove i poveri sono beati. Regno dove il primo è l’ultimo, dove il padrone serve, dove l’Onnipotente si fa Onnidebole. Buon Natale e… benvenuti in Galilea!”