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Avellino – Un tumore al cervello. Così è morto Biagio Cava, 62 anni, il boss del Vallo Lauro, protagonista indiscusso degli ultimi trent’anni di storia della criminalità organizzata. Lo scorso settembre era tornata a casa, nella sua Quindici, dopo 11 anni di carcere al 41 bis. Ne avrebbe dovuti scontare altri 13, ma i giudici del tribunale di sorveglianza di Sassari avevano accolto l’istanza per ragioni di salute.

Cava era a capo dell’omonimo clan. Il mese scorso, dopo poco tempo dal suo ritorno a casa, era stato ricoverato al Cardarelli di Napoli, dov’era stato sottoposto, a distanza di poco tempo, a due delicati interventi al cuore.

Era stato arrestato nel 2006 e da allora era detenuto presso il carcere di Sassari, dove stava scontandola pena per associazione mafiosa. Considerato punto di riferimento prima del clan Alfieri, poi dei Fabbrocino, dall’inizio degli anni ‘8o, fino al suo arresto,ma anche dopo, è stato il super boss.

La sua è una storia di sangue e morti. Contraddistinta anche dalla faida con la famiglia Graziano. Una faida che ha lasciato alle spalle una lunga striscia di sangue. Nel 1994 il primo arresto di Biagio Cava. Era considerato l’autore della strage a Scisciano, nel 19991, proprio contro il clan Graziano. Venne prosciolto nel 2000 per decorrenza dei termini, dopo un’assoluzione in appello. Nel 2002, mentre stava per andare a New York, venne arrestato all’aeroporto di Nizza.

Era febbraio, a maggio dello stesso anno,proprio mentre il boss era in carcere, in un agguato a Lauro, “La strage delle donne”, vennero ammazzate: la figlia Clarissa di 16 anni, la sorella Michelina, la cognata, Maria Scibelli. Salva, ma condannata alla sedia a rotelle, l’altra figlia, Felicetta.

Due anni dopo esce dal carcere, assolto in primo grado per il tentato sequestro di Graziano. Ma nel 2006, il giorno del suo compleanno, il blitz della polizia che smantella una parte del clan, arrestando lo stesso Biagio Cava. Per lui arriverà, poi, la condanna a 30 anni di reclusione.