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Benevento – Se tre indizi fanno una prova, tre sconfitte non possono che fare una crisi. Dopo la beffa incassata nel finale contro il Brescia, il Benevento di Fabio Caserta non si è più ripreso. Ha varcato la soglia di un tunnel sempre più buio perdendo via via contatto con qualsiasi fonte di luce. E’ smarrito, fa fatica a riconoscersi in qualcosa e vede un ulteriore grande ostacolo davanti a sé. Il match con la Reggina di sabato prossimo è infatti cruciale, un bivio in piena regola. Perché sarà anche vero che la serie B concede sempre una seconda opportunità, ma questa Strega presenta troppi lati oscuri per soprassedere alle evidenze.

E’ giusto che il discorso vada oltre i numeri, superi le convenzioni e tenga conto di palesi riscontri. Il centrocampo, per cominciare, non sembra all’altezza neppure di un piazzamento play off. Mancano dinamismo e idee coerenti con le legittime ambizioni della società. Un regista fuori dal gioco, timido, dubbioso nella gestione della palla, supportato da compagni che fanno una gran fatica ad inserirsi e a velocizzare l’azione. Sulla trequarti non c’è densità né brio. Insigne e Sau, per citare i due giocatori più tecnici, vengono costantemente respinti, rigettati al mittente, costretti ad agire a venti metri di distanza dall’area, dando le spalle alla porta avversaria. Non un dribbling, una giocata che crei superiorità numerica, ma la continua ricerca del lancio lungo. 

Ne abbiamo contati oltre dieci tra il 55′ – minuto che ha segnato l’ingresso di Lapadula –  e l’80’. Un numero già esorbitante in sé ma che diventa fortemente indicativo nel momento in cui, tra un lancio e l’altro, non si registra nulla di diverso. Come se l’unico schema del Benevento fosse la verticalizzazione improvvisa dalla propria metà campo verso il suo giocatore di punta, che sarà anche l’elemento più in forma, reduce da una trionfale esperienza in Nazionale, ma non può certamente fare miracoli. Non ha toccato un pallone pulito al centro dell’area, Lapadula. L’unico glielo aveva servito Improta (il migliore per iniziativa e sacrificio) ma non è giunto a destinazione per via di un grande anticipo di Leverbe. Per il resto, anche grazie a inevitabili meriti da riconoscere al Pisa, una presenza mai sfruttata quella del 9 peruviano.

Bene fanno i senatori, per darsi una scossa, a cercare del buono in una prestazione che ha evidenziato svariati limiti, ma nel seguirli commetteremmo un grave errore. Getteremmo solo una discreta quantità di polvere sotto al tappeto tradendo la stella polare di un’onestà intellettuale che ci ha accompagnato anche nel valutare con perplessità alcune vittorie conquistate per il rotto della cuffia. La realtà, quella senza filtri, dice chiaramente che al Benevento non è mancato e non sta mancando solo il gol, ma tanto altro.

Una squadra “costruita per stare lassù” non può permettersi di rinunciare a un’idea concreta e affidarsi al solo contropiede, concetto peraltro esposto a innumerevoli fragilità. Occorre un’invidiabile dose di ottimismo per valutare in maniera positiva i 90 minuti di Pisa, dando priorità al principio che un pareggio sarebbe stato il risultato più giusto. E’ senza dubbio vero, lo sarebbe stato. Ma avrebbe risolto i ridondanti problemi tattici e di personalità? Un dubbio è quantomeno lecito averlo.