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Benevento – Benevento protagonista sulle pagine e sulle colonne del Guerin Sportivo, dove compare una lunga intervista realizzata al tecnico Cristian Bucchi da Tullio Calzone. L’allenatore della Strega si confessa ripercorrendo le tappe della sua carriera, parlando delle idee portate in panchina e raccontando i primi mesi alla guida del Benevento: dall’incontro decisivo con Vigorito, fino alle aspettative future. Questi alcuni passaggi dell’intervista:

Modulo – «Rispetto a quando ho iniziato ho imparato tanto attraverso gli errori. Il 4-3-3 è l’inizio di un’idea. Ma il modo di stare in campo conta di più. Possiamo giocare cambiando modulo e fasi di gioco che si mescolano e si influenzano reciprocamente. Mentre porti un attacco, devi prepararti a difendere. Servono duttilità e intelligenza per farlo. A tutti i livelli si cambiano gli assetti più volte durante una gara, ma non l’idea di fondo. Credo che la fase di possesso debba essere il più imprevedibile possibile. In fase di non possesso, invece, è necessaria un’organizzazione maniacale. E’ difficile ottenere tutto ciò, ma anche tanto bello riuscirci. Non c’è un compitino da svolgere che prima o poi diventa prevedibile».

Maestri – «Castagner il primo di tutti perché mi fece giocare in A a 21 anni nonostante venissi dall’Eccellenza. E feci gol dopo tre minuti. Fu la scintilla di un fuoco che arde ancora. A lui debbo tutto. Poi Giampaolo, Pioli e Di Francesco che, in modi diversi, mi hanno trasmesso le motivazioni per intraprendere questa carriera. So di dover crescere e migliorare, ma a modo mio e con idee mie».

Crisi – «Tutti parlano dei giovani. Ma nessuno ci crede davvero. Intanto, perché c’è bisogno di maggiore spazio per calciatori di qualità e di più tempo affinché maturino. I giovani che arrivavano a giocare in B prima erano più forti. Oggi si amplifica tutto. I campioni non si possono costruire per forza. Bisogna farli crescere piano, occorre tempo per ricostruire. Spagna e Germania hanno investito proprio sul tempo. E poi bisogna liberarsi dall’ossessione di vincere».

Benevento – «E’ un grandissimo stimolo vedere tutto questo entusiasmo attorno alla squadra soprattutto dopo una retrocessione. Ma la gente del Sannio andrebbe utilizzata come una cartolina per il calcio italiano, uno spot bellissimo e significativo di cosa può fare la passione. Avverto una grande responsabilità, ma il nostro compito principale deve essere quello di non disperdere questo straordinario entusiasmo. Ci saranno certamente momenti difficili in un campionato complesso, ma il calore dei tifosi può diventare una risorsa fondamentale».

Scelta – «Mi aveva colpito Benevento anche da avversario. Pur retrocedendo aveva vissuto accanto alla squadra. Una cosa inusuale. Non pensavo di trovare questo calore. Il lavoro di tanti anni del presidente Oreste Vigorito ha fatto crescere tutto l’ambiente evidentemente. Passione, amore, orgoglio: ho trovato tutto questo qui. Ecco perché ho accettato subito».

Campionato – «Ci sono degli organici costruiti con grande intelligenza, non solo il Benevento dove il ds Foggia e il presidente hanno fatto di tutto per allestire
un gruppo affidabile. Ma io non trascurerei neanche Cremonese, Perugia, Verona, Lecce, Salernitana, Crotone e, ovviamente, Palermo. Ci sono sei o sette squadre che possono giocarsi la promozione. Ma altre antagoniste proveranno a giocarsela. La continuità farà la differenza».

Vigorito – «Quando ci siamo incontrati mi ha colpito con un’affermazione chiara. Mi disse: “Io voglio costruire per arrivare a vincere”. Questo sforzo della società ha un obiettivo che mi carica di responsabilità, ma c’è condivisione. Mi sono sentito subito parte integrante di questo progetto. E non ho esitato un solo istante a dire di sì».

Organico – «La società ha scelto gente giusta e trattenuto calciatori che hanno una grande cosa in comune: la voglia di migliorarsi e di fare parte di questa avventura. Maggio e Nocerino hanno portato positività non solo esperienza. Ma anche chi era qui da anni sta condividendo questa esperienza con disponibilità. Abbiamo scelto giovani di prospettiva. Tutti hanno un comune denominatore: la duttilità mentale prima ancora che tecnica».