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Benevento – Siamo rimasti la solita Italia. Ormai è un dato di fatto: il coronavirus non ci ha cambiato, non ci cambierà e né tanto meno ci renderà migliori. Anzi. Siamo e rimarremo il popolo che tenderà sempre a nascondere il marcio sotto al tappeto.

Lo fanno tutti, perché non dovrei farlo io?“, è così che si giustifica (semmai fosse possibile) il comportamento di chi compra e trucca concorsi, di chi compra un posto statale. Se, però, decidiamo tacitamente di accettare questo modo di fare, dobbiamo anche accettare di non avere diritto di criticare. Se accettiamo la logica del “è l’unico modo per entrare“, allora accettiamo indirettamente di premiare il più furbo, quello con più agganci.

Sappiamo, insomma, di iscriverci a una competizione truccata con la speranza di essere più fortunati di altri che, come noi, non hanno “santi in Paradiso” ai quali appellarsi. Angeli custodi che ti recapitano a casa pen drive con le risposte corrette.

Fino a quando accetteremo di giustificare tali comportamenti saremo in parte complici. Se ci sentiremo indignati personalmente, per un parente o un amico beffati dal raccomandato di turno, non avremo diritto di accusare nessuno fino a quando in tasca avremo la tessera del partito “così fan tutti“. Il vero gesto di coraggio sarebbe strapparla quella tessera, facendo diventare un grido collettivo il singolo grido di disapprovazione.

Bisognerebbe avere la forza di alzarsi dal divano, senza attendere che siano gli altri a fare qualcosa per noi, a cambiare il corso della storia. Fino a quando questo non accadrà, le cose andranno nella stessa e identica maniera.

Continueremo ad “arruolare” raccomandati, continueremo a indignarci e continueremo a puntare il dito, ma nel frattempo altre tre dita le punteremo inconsapevolmente verso di noi. Tanto per parafrasare un vecchio proverbio che arriva dalla stessa Cina del covid-19, il virus che ci spaventa e che ci ha illuso di poterci almeno restituire un mondo migliore.