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Carpi (Mo) – E’ lì dal 1926, negli anni ha solo mutato aspetto e fisionomia. Parlare di restyling sarebbe troppo per il ‘Sandro Cabassi’, che si inserisce in sordina nello scenario urbano di Carpi senza causare il minimo fastidio. La serie A non l’ha vista per comprensibili problematiche dovute all’inadeguatezza strutturale, ma è stato teatro della cavalcata verso il massimo campionato del ‘Carpi dei Miracoli’, quello di Letizia e Castori, ma anche di Poli e Concas, due che in Emilia provano a fare ancora la differenza agli ordini di un allenatore che lì – con i suoi pro e i suoi contro – resterà nel mito. 

Finire nelle grinfie del ‘Cabassi’ è un’esperienza del tutto esclusiva per il panorama della serie B. Dalla C in giù, intendiamoci, è molto più facile trovare stadi che trasudino provincia, se non altro perché gli standard dei due massimi campionati italiani impongono regole rigide difficilmente aggirabili. Quelle relative agli operatori dell’informazione, ad esempio, parlano di una sala stampa in grado di ospitare un certo numero di giornalisti, una mixed zone abbastanza grande da tener dentro le televisioni accreditate e una stanza che consenta a fotografi e reporter di lavorare nel post partita mettendo nero su bianco cronaca, analisi e riflessioni sul match appena concluso. Nessuno stadio di B può fare a meno di queste e tante altre disposizioni riguardanti tifosi, accesso e parcheggi, pena – per la squadra di casa – il trasferimento in altra struttura per le gare interne. 

Ed eccola, dunque, la particolarità del Cabassi. Uno stadio forse freddo ma a norma, seppur per il rotto della cuffia. Un impianto perfettamente idoneo alle esigenze e alla tradizione calcistica della città, che è entrato in quegli standard in maniera tanto risicata quanto nostalgica. Sul percorso che unisce gli spogliatoi (posizionati nel ventre della gradinata che ospita i tifosi di casa) e la sala stampa (al di sotto della tribuna), ad esempio, va segnalato un bar che è anche il ritrovo storico dei sostenitori biancorossi. E’ lì che Letizia – grande ex di giornata – si è recato per un saluto veloce a metà riscaldamento andando ad abbracciare vecchi amici; ed è lì che si passa ogni volta che si deve raggiungere la sala stampa per le interviste post-gara.

E allora via di applausi per Castori, Concas e Vano, a cui vengono offerte birre e cibo (rifiutati con garbo) subito dopo l’impresa con il Benevento (“Non possiamo ma grazie lo stesso…”); e via di pacche sulle spalle, cori di incoraggiamento e sorrisi che per nulla si abbinano con la posizione in classifica della squadra. Per non parlare del parcheggio esterno, territorio di appartenenza dei tifosi ‘del camper’, pronti ad accogliere colleghi biancorossi o ospiti e ad offrire qualcosa da mangiare e da bere facendo quattro chiacchiere sulla partita. Le trasferte più vicine le fanno proprio muovendosi con quel mezzo, al cui interno sono custoditi veri e propri cimeli della storia del club. Alcuni di questi rimandano ai tempi non troppo lontani della A ma anche della sconfitta nella finale play off contro la Strega, per un atto che nel Sannio non dimenticheranno mai per epica mista a incredulità. Perché non dimentichiamo che proprio quello stadio, il Cabassi, solo due anni fa rappresentò una tappa cruciale per il Benevento di Baroni a cui venne dato il giusto merito e riconoscimento dopo la sconfitta nel doppio confronto. 

Sul piano del tifo la curva giallorossa ha dominato, ma bisogna sottolineare come quello della gente di Carpi sia un modo di vivere il calcio che la modernità sta facendo di tutto per portarci via e del quale va dato atto alla comunità del centro modenese, patria delle imprese sportive di Dorando Pietri, maratoneta nativo della vicina Correggio a cui è dedicata una statua alle porte della città. Lui sì, l’impresa la fece per davvero centodieci anni fa, quando alle Olimpiadi di Londra tagliò il traguardo per primo sorretto dai giudici di gara perché stremato dalla fatica. Notando le sue difficoltà, gli ufficiali gli fornirono un aiuto che valse però la squalifica dalla competizione. Sfuggì la medaglia d’oro, non l’ingresso nella leggenda. L’oro lo avrebbe conquistato un secolo dopo un altro carpigiano, Gregorio Paltrinieri, il nostro ‘Greg’ nazionale, nuotatore classe ’94, che ai Giochi di Rio de Janeiro, nel 2016, ha chiuso al primo posto i 1500 metri stile libero. Un giorno, probabilmente, da queste parti ci sarà una statua anche per lui.