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“Ad uccidere Ansaldi è stato Ansaldi“. Così la Repubblica, nella sua edizione milanese, apre l’edizione odierna. Una ipotesi, quella del suicidio, cresciuta nelle ultime ore, man mano che ha cominciato a perdere peso, per pm e carabinieri, la pista dell’omicidio per rapina.

“È così, lavorando per sottrazione, che agli occhi degli investigatori è comparso uno scenario dapprima inverosimile. Poi probabile. Ormai il principale, se non l’unico: che l’assassino di Stefano Ansaldi sia lo stesso Stefano Ansaldi” – scrive Massimo Pisa.

Un’ipotesi investigativa – si legge sempre da La Repubblica Milano – che i carabinieri della seconda sezione del Nucleo investigativo — guidati dai tenenti colonnelli Antonio Coppola e Pantaleo Cataldo e coordinati dal pm Adriano Scudieri e dal procuratore aggiunto Laura Pedio — hanno maturato a poco a poco, escludendo elemento dopo elemento, ragionando sugli indizi trovati in via Mauro Macchi e soprattutto su quelli mancanti.

“Dall’autopsia, per esempio, che ha certificato la morte quasi istantanea, incrociata con la testimonianza del passante che aveva dato l’allarme per primo, alle 18.06 di sabato: quest’ultimo aveva visto agonizzare il 65enne ginecologo originario di Benevento, con la gola squarciata, la giugulare aperta, dissanguato in pochi secondi. Ma non ha visto allontanarsi nessuno, né in via Scarlatti né in direzione opposta”.

E ancora ci sono le telecamere a mostrare il medico in un andirivieni nervoso, pochi minuti prima della sua morte, imboccare una strada che non lascerà nessun altro, nè a piedi, nè in motorino.

A ‘smontare’ l’ipotesi della rapina finita male, poi, la mancanza di impronte sulla lama. 

“Restava da verificare un’altra circostanza: che il killer abitasse o lavorasse da quelle parti, che l’appuntamento fosse stato fissato proprio in via Mauro Macchi e che, dopo lo sgozzamento, l’accoltellatore si fosse andato a rifugiare in un portone nelle vicinanze,
invisibile anche ai testimoni. Ma l’analisi dei tabulati e delle celle telefoniche agganciate ha rivelato che il traffico generato dallo smartphone di Ansaldi era terminato qualche ora prima della sua morte”.

Ecco perchè le attenzioni, ora, sono tutte sul possibile movente del suicidio. E chissà che una risposta non possa arrivare dall’approfondimento – ancora in corso – dei documenti sequestrati presso l’abitazione e lo studio del professionista campano.