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Benevento – Gabriele Moncini segna il gol del 3-1 e alza le braccia per scusarsi. E’ il segnale che ‘scatena l’inferno’. Davanti agli occhi della Strega si spalancano le porte di una retrocessione dolorosa, benché non ancora suggellata dall’aritmetica. Molti tifosi, in un Vigorito ben lontano dal record di presenze, abbandonano i gradoni dopo aver visto segnare l’attaccante ‘scartato’ la scorsa estate. Un brivido beffardo accarezza la loro pelle. Nel frattempo tutt’intorno aumentano i mugugni, sale la frustrazione. Poco dopo le ore 14, a dieci minuti dal tris calato dall’attaccante pistoiese, gli esponenti della Curva Sud tolgono lo striscione esposto al secondo anello e scendono al primo in segno di contestazione. Il ‘patto salvezza’ stretto alla vigilia della trasferta di Bari è ormai carta straccia, rappresenta già un lontano ricordo. Gli ultras giudicano imperdonabile la prestazione messa in scena dai calciatori, intonano cori durissimi, invitano i protagonisti ad andare via definendoli ‘mercenari’ privi di coraggio (edulcoriamo). L’ultimo quarto d’ora di partita è una lenta agonia. Il Benevento si trascina faticosamente in avanti, ma l’assalto alla porta di Alfonso non produce neanche un graffio superficiale.

“Toglietevi la maglia”, i giocatori dicono di no

CarforaIn sottofondo il brusio e gli insulti si fanno strada fino al novantacinquesimo, quando il confronto tra i giocatori, lo staff tecnico e i tifosi della Sud tocca il suo apice. Il dialogo è fitto, un faccia a faccia. Gli uomini in maglia e pantaloncini ascoltano a capo chino e oppongono un secco rifiuto alla richiesta di spogliarsi delle divise. “Non ci rappresentate”, Urla qualcuno dagli spalti. Altri si sbracciano, inveiscono, realizzano forse soltanto adesso che il Sannio sta salutando la B per rivederla chissà quando. Il giovane Carfora è in lacrime, più di un compagno lo consola e lo invita ad andarsene perché quella contestazione, quelle parole colme di rabbia non sono rivolte a lui. Classe 2006, diciassette anni appena compiuti, ha dimostrato in meno di un mese più di quanto abbiano fatto colleghi ben più rinomati. Stellone negli ultimi due turni lo ha voluto titolare, impartendo indirettamente un’umiliazione ineluttabile ai vari Simy, La Gumina e Farias, scavalcati nelle gerarchie dal talentuoso gioiello del vivaio. Fa tenerezza vederlo abbandonare il campo con la maglia sul volto mentre Letizia e Schiattarella rispondono alle veementi accuse nel tribunale del popolo.  

Ora il Benevento è anche ultimo da solo

“Vogliamo la Primavera”, sottolineano i tifosi dal primo anello, accompagnati dal gesto di approvazione di chi assiste alla scena dagli altri settori. Mancano sei gare alla fine, i calcoli non condannano ancora il Benevento, oggi per la prima volta da solo in fondo alla classifica, ma i segnali che continuano a giungere sono inequivocabili. E la prestazione odierna, come se non bastasse, ha segnato una frattura con la piazza che pare insanabile. Al di là del citato Carfora, che ha una brillante carriera davanti a sé, agli altri è imputata la mancanza di impegno e attaccamento. Se retrocessione deve essere, parere altrettanto diffuso negli ambienti del tifo, è giusto che in campo ci vada invece chi è stato (ed è tuttora) pagato fior di quattrini per l’alta classifica ma ha fallito su tutti i fronti: la lista dei nomi è lunghissima. Ci sono poi le dimissioni di Stellone, che vanno a certificare il quarto avvicendamento in panchina nel giro di otto mesi. Da Caserta a Cannavaro, da Cannavaro a Stellone, da Stellone nuovamente a Caserta, ancora sotto contratto. Sempre se dovesse andare in porto il colloquio con Vigorito previsto nelle prossime ore per un ritorno ‘senza passare dal via’. Ciò che non andrà in porto, invece, al netto di utopici virtuosismi statistici, sarà l’imbarcazione giallorossa. Non molto tempo fa si presentava come una lussuosa nave da crociera, oggi non è altro che un disastrato relitto. 

Benevento-Spal, le pagelle: non si salva nessuno nella gara che vale una stagione